La dichiarazione sul valore della prestazione dedotta in giudizio deve essere proposta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e non deve essere ripetuta nei gradi successivi (Cass. n. 6241/2014)

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza 18 marzo 2014, n. 6241

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza 18 marzo 2014, n. 6241

Art. 152 disp. att. cod. proc. civ. - dichiarazione sul valore della prestazione dedotta in giudizio resa con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado - esplica i propri effetti anche nei gradi successivi di giudizio. (Sintesi non ufficiale)

Il periodo introdotto dal D.L. 98/2011 (conv. dalla L. 111/2011) all 'art. 152 disp. att. c.p.c., sull'obbligo di rendere dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, è disposizione strumentale all'applicazione del periodo immediatamente precedente secondo il quale "le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della
prestazione dedotta in giudizio", la quale è con tutta evidenza riferita all'atto introduttivo del giudizio, che non solo è richiamato esplicitamente nel testo aggiunto, ma che necessariamente è il punto di
riferimento dell'intero giudizio, atteso che ad esso debbono richiamarsi (ai fini delle spese) tutte le pronunzie emanate nel corso del giudizio. Trattasi, dunque, di disposizione riferita al solo ricorso di primo grado. (Massima non ufficiale)

Civile Ord. Sez. 6 Num. 6241 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAMMONE GIOVANNI
Data pubblicazione: 18/03/2014
 
ORDINANZA

sul ricorso 23512-2011 proposto da:
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE — INPS (c.f. 80078750587), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via della Frezza n. 17, presso l'Avvocatura centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Antonietta Coretti, Emanuele De Rose, Vincenzo Triolo e Vincenzo Stampo per procura in calce al ricorso;  

- ricorrente -
contro
Z**** R*****, elettivamente domiciliata in Roma, via Quintino Sella n. 41, presso lo studio dell'Avv. Margherita Valentini, rappresentata e difesa dall'Avv. Giovanni Gaetano Ponzone per procura in calce al ricorso; 
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 4857/2010 della Corte d'appello di Bari, depositata in data 6.10.10;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 16.01.14 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone.
 
Ritenuto in fatto e diritto

1.- Z**** R*****, operaia agricola a tempo determinato si rivolse al giudice del lavoro di Bari per ottenere il ricalcolo dell'indennità di disoccupazione agricola corrisposta per l'anno 2000, ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. 16.4.97 n. 146, in relazione alla retribuzione fissata dalla contrattazione integrativa della provincia, anziché in base al salario medio convenzionale dell'anno 1995 e non più incrementato.
2.- Rigettata la domanda e proposto appello dall'assicurata, la Corte d'appello di Bari con sentenza 4.10.10 escludeva che fosse intervenuta decadenza ex art. 47, c. 3, del d.P.R. 30.04.70 n. 639, accoglieva l'impugnazione e condannava l'INPS a riliquidare l'indennità di disoccupazione per l'anno di riferimento, ponendo a base del calcolo il salario fissato pro tempore dalla contrattazione provinciale, compresa la c.d. quota di trattamento di fine rapporto, oltre accessori.
3.- Proponeva ricorso per cassazione l'INPS con tre motivi: 1) violazione dell'art. 47, c. 3, del d.P.R. 30.04.70 n. 639 e successive modificazioni, contestando l'assunto della Corte d'appello che la decadenza ivi prevista non si applica nel caso di richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali; 2) violazione dell'art. 18 del d.l. n. 98 del 2011 (conv. dalla legge n. 111 del 2001) che dà interpretazione autentica dell'art. 4 del d.lgs. n. 146 del 1997 e dell'art. 1, c. 5, del d.l. 2 del 2006 (conv. dalla legge n. 81 del 2006); 3) violazione degli artt. 44, 49 e 53 del cm' operai agricoli e florovivaisti del 10.7.98, in relazione all'art. 6, c. 4, lett. a) del d.lgs. 2.9.97 n. 314 ed agli artt. 1362 segg. e 2120 c.c., nonché 4, c. 10 e 11, della 1. 29.5.82 n. 297, contestando la tesi della Corte d'appello che l'emolumento denominato trattamento di fine rapporto (t.f.r.) corrisposto agli operai agricoli a tempo determinato costituisca componente della retribuzione idonea a determinare la indennità di disoccupazione, e non salario differito, escluso ai sensi del detto art. 6, c. 4, lett a) sia dalla base imponibile dei contributi previdenziali, sia dalla retribuzione utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in agricoltura.
4.- Rispondeva Z**** con controricorso preliminarmente sostenendo l'inammissibilità del ricorso e rilevando che, pure ove fosse stata esclusa dalla base di computo la quota di t.f.r., comunque la retribuzione contrattuale su cui doveva calcolarsi l'indennità sarebbe risultata più favorevole del salario medio convenzionale considerato dall'INPS e che, pertanto, l'Istituto sarebbe stato tenuto in ogni caso a versare la differenza tra quanto dovuto e quanto percepito
5.- Il consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c., che è stata notificata ai difensori costituiti con l'avviso di convocazione dell'adunanza della camera di consiglio.
6.- E' infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, per la quale parte ricorrente avrebbe dovuto dichiarare "il valore della prestazione" ai sensi del nuovo testo dell'art. 152, disp. att. c.p.c. Il d.l. 6.07.11 n. 98 (conv. dalla 1. 15.07.11 n. 111) aggiunge all'art. 152 il periodo "A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l'importo nelle conclusioni dell'atto introduttivo" (art. 38). Si tratta di disposizione strumentale all'applicazione del periodo immediatamente precedente secondo il quale "le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio", la quale è con tutta evidenza riferita all'atto introduttivo del giudizio, che non solo è richiamato esplicitamente nel testo aggiunto, ma che necessariamente è il punto di riferimento dell'intero giudizio, atteso che ad esso debbono richiamarsi (ai fini delle spese) tutte le pronunzie emanate nel corso del giudizio. Trattasi, dunque, di disposizione riferita al solo ricorso di primo grado, irrilevante ai fini del presente giudizio.
7.- Quanto al primo motivo di ricorso ed ai limiti di applicabilità dell'art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970 e successive modificazioni, deve qui richiamarsi la sentenza a Sezioni unite 29.05.09 n. 12720, per la quale la decadenza ivi prevista non si applica nel caso di riliquidazione di prestazioni previdenziali. Tale principio è stato recentemente ribadito dalla sentenza 8.05.09 n. 6959 la quale, alla luce del d.l. 6.07.11 n. 98, art. 38, c. 1, lett. d) (conv. dalla 1. 15.0711 n. 111), ha ritenuto che il legislatore -modificando con limitata efficacia retroattiva la regola preesistente, come consolidata per effetto della pronuncia delle Sezioni unite - conferma indirettamente la corrispondenza di quest'ultima all'originario contenuto dell'art. 47, nel testo vigente fino alla novella del 2011, ed ha pertanto ritenuto inapplicabile le disposizioni del citato art. 47 (prima delle integrazioni dell'art. 38 del d.l. n. 98 del 2011) all'ipotesi di richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali riconosciute solo parzialmente, e come tali liquidate dall'ente obbligato.
8.- Quanto al secondo ed al terzo motivo, deve rilevarsi che confermando quanto già ritenuto con la sentenza 9.5.07 n. 10546, secondo cui "ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione - definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 d.lgs. 16.4.97 n. 146 - non è comprensiva del trattamento di fine rapporto", questa Corte ha ulteriormente affermato che "sulla base del suddetto principio, la voce denominata quota di t.f.r. dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa dal computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della disposizione di cui al d.l. 14.6.96 n. 318, art. 3, conv. dalla 1. 29.7.96, n. 402, a norma del quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi, non può essere individuata in difformità rispetto a quanto definito negli accordi stessi. Dovendo escludersi che detta voce abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti, non è ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte dell'autonomia collettiva" (v. Cass. 5.1.11 n. 202 e numerose altre conformi).
9.- Tale orientamento è stato confermato dal legislatore che con il d.l. 6.07.11 n. 98, conv. dalla 1. 15.07.11 n. 111, all'art. 18 ha previsto che "l'articolo 4 del d.lgs.16 aprile 1997 n. 146, e l'articolo 1, comma 5, del d.l. 10 gennaio 2006 n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso che la retribuzione, utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai agricoli a tempo determinato, non è comprensiva della voce del trattamento di fine rapporto comunque denominato dalla contrattazione collettiva" (c. 18).
10.- Quanto alla richiesta della controricorrente di dare atto che l'INPS, anche nel caso di accoglimento del suo ricorso, sarebbe comunque tenuto a corrispondere una differenza, in ragione del maggior importo del salario della Z*****, deve considerarsi che la presente impugnazione non ha ad oggetto la qualifica ricoperta dall'assicurata e l'eventuale maggior importo dovuto dall'INPS, ma esclusivamente la quota di t.f.r. su cui si è detto ai punti 8 e 9.
11.- In conclusione, infondato il primo motivo, debbono essere accolti il secondo ed il terzo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari accertamenti di fatto, ai sensi dell'art. 384, c. 2, c.p.c. può provvedersi nel merito e rigettarsi la domanda di computo della quota di trattamento di fine rapporto.
12.- Nulla deve statuirsi per le spese dell'intero giudizio, avendo l'assicurata rilasciato la dichiarazione di incapienza reddituale prevista dall'art. 152 disp. att. c.p.c.

Per questi motivi

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo ed il terzo, cassa l'impugnata sentenza e, provvedendo nel merito, rigetta la domanda quanto alla richiesta di computo della quota di trattamento di fine rapporto nella base di calcolo dell'indennità di disoccupazione, nulla disponendo per le spese dell'intero giudizio.
Così deciso in Roma in data 16 gennaio 2014
Il Presidente