Col decreto legislativo 15 Aprile 1948 n. 538 si disciplinò l'avviamento al lavoro e la speciale tutela a beneficio dei lavoratori dimessi da luoghi di cura per guarigione clinica da affezione tubercolare. Il sistema che con il decreto venne istituito aveva, in primo luogo, il pregio di porre l'attenzione sull'idoneità specifica del minorato di cui si effettuava il collocamento obbligatorio ed, in secondo luogo, il merito di prevedere l'avviamento per vie privilegiate solo come ultimo espediente. Il decreto, infatti, si curava, prima di tutto di rendere possibile la riqualificazione del tubercolotico e di favorirne l'occupazione secondo le procedure ordinarie; quest'ultimo risultato veniva perseguito attraverso l'abrogazione delle disposizioni limitanti o vietanti l'assunzione o la riassunzione dell'ex tubercolotico.
L'obbligo di assunzione era esclusivamente a carico delle case di cura sanatoriali, dipendenti da enti pubblici o da privati (art. 3). Secondo il parere del Consiglio di Stato soggetti obbligati erano da ritenersi le case di cura esclusivamente a carattere sanatoriale e non anche le case di cura che avessero, tra gli altri, anche un reparto sanatoriale. L'opinione del Consiglio di Stato poggiava sull'interpretazione letterale del testo del decreto ed evitava quelle difficoltà nel computo del personale che sarebbero risultate qualora si fosse ritenuta sufficiente la presenza di un reparto dedicato al risanamento dei tubercolotici. In questo caso infatti le soluzioni sarebbero state due: o quella di calcolare l'intero personale della casa di cura, con la conseguenza irrazionale di computare anche gli addetti ai reparti non sanatoriali, oppure quella di considerare i soli addetti ai reparti sanatoriali ed in questo caso facendo riferimento a mere situazioni di fatto, difficilmente accertabili e fonti di incertezza .
Non era ben chiaro in cosa consistesse l'obbligo prescritto alle case di cura.
Secondo una certa dottrina , l'obbligo di assunzione concerneva la copertura dei posti vacanti e non implicava assunzioni in soprannumero. Ciò sarebbe risultato dal 3° comma dell'art. 3, secondo il quale in caso di insufficienza di posti vacanti le assunzioni sarebbero state fatte in seguito a vacanze.
Di diverso avviso era chi , suggerendo di non farsi vincolare da una dizione della legge infelice e fuorviante, riteneva che l'obbligo consistesse nel riservare agli extubercolotici, alla data di entrata in vigore del decreto, la percentuale prescritta. Per giungere a questo risultato interpretativo e contestare l'evidente significato della lettera del decreto questa dottrina era comunque costretta a ricorrere ad argomentazioni, a dir poco, ardite.
Organi incaricati del collocamento degli ex tubercolotici erano delle speciali Commissioni istituite presso gli Uffici del collocamento ordinario.
In ordine all'adempimento dell'obbligo da parte delle case di cura sanatoriali, nell'ultimo comma dell'art. 3 si stabiliva che queste avessero, si, facoltà di scelta dell'ex tubercolotico da occupare, ma solo "fra gli iscritti negli elenchi" predisposti dalle Commissioni.
Per parte dei commentatori , le cose stavano diversamente: il datore di lavoro era obbligato a ricorrere all'elenco solo al momento della prima applicazione della legge, mentre era tenuto in seguito a rispettare la percentuale (entro 30 giorni dal verificarsi di vacanze) senza necessariamente dover ricorrere agli elenchi della Commissione.
La casa di cura era tenuta ad adibire i lavoratori extubercolotici a mansioni cui fossero fisicamente adatti (art. 3 1° comma). A garanzia di questo, alla Commissione era attribuito un compito di vigilanza, nonché, in caso di riscontro negativo, il potere di prescrivere il cambiamento delle mansioni (art. 8 2° comma lett. c). Il decreto non specificava però quale fosse l'efficacia della prescrizione e quali le conseguenze in caso di violazione.
Col decreto legislativo 15 Aprile 1948 n. 538 si disciplinò l'avviamento al lavoro e la speciale tutela a beneficio dei lavoratori dimessi da luoghi di cura per guarigione clinica da affezione tubercolare. Il sistema che con il decreto venne istituito aveva, in primo luogo, il pregio di porre l'attenzione sull'idoneità specifica del minorato di cui si effettuava il collocamento obbligatorio ed, in secondo luogo, il merito di prevedere l'avviamento per vie privilegiate solo come ultimo espediente. Il decreto, infatti, si curava, prima di tutto di rendere possibile la riqualificazione del tubercolotico e di favorirne l'occupazione secondo le procedure ordinarie; quest'ultimo risultato veniva perseguito attraverso l'abrogazione delle disposizioni limitanti o vietanti l'assunzione o la riassunzione dell'ex tubercolotico.
L'obbligo di assunzione era esclusivamente a carico delle case di cura sanatoriali, dipendenti da enti pubblici o da privati (art. 3). Secondo il parere del Consiglio di Stato soggetti obbligati erano da ritenersi le case di cura esclusivamente a carattere sanatoriale e non anche le case di cura che avessero, tra gli altri, anche un reparto sanatoriale. L'opinione del Consiglio di Stato poggiava sull'interpretazione letterale del testo del decreto ed evitava quelle difficoltà nel computo del personale che sarebbero risultate qualora si fosse ritenuta sufficiente la presenza di un reparto dedicato al risanamento dei tubercolotici. In questo caso infatti le soluzioni sarebbero state due: o quella di calcolare l'intero personale della casa di cura, con la conseguenza irrazionale di computare anche gli addetti ai reparti non sanatoriali, oppure quella di considerare i soli addetti ai reparti sanatoriali ed in questo caso facendo riferimento a mere situazioni di fatto, difficilmente accertabili e fonti di incertezza .
Non era ben chiaro in cosa consistesse l'obbligo prescritto alle case di cura.
Secondo una certa dottrina , l'obbligo di assunzione concerneva la copertura dei posti vacanti e non implicava assunzioni in soprannumero. Ciò sarebbe risultato dal 3° comma dell'art. 3, secondo il quale in caso di insufficienza di posti vacanti le assunzioni sarebbero state fatte in seguito a vacanze.
Di diverso avviso era chi , suggerendo di non farsi vincolare da una dizione della legge infelice e fuorviante, riteneva che l'obbligo consistesse nel riservare agli extubercolotici, alla data di entrata in vigore del decreto, la percentuale prescritta. Per giungere a questo risultato interpretativo e contestare l'evidente significato della lettera del decreto questa dottrina era comunque costretta a ricorrere ad argomentazioni, a dir poco, ardite.
Organi incaricati del collocamento degli ex tubercolotici erano delle speciali Commissioni istituite presso gli Uffici del collocamento ordinario.
In ordine all'adempimento dell'obbligo da parte delle case di cura sanatoriali, nell'ultimo comma dell'art. 3 si stabiliva che queste avessero, si, facoltà di scelta dell'ex tubercolotico da occupare, ma solo "fra gli iscritti negli elenchi" predisposti dalle Commissioni.
Per parte dei commentatori , le cose stavano diversamente: il datore di lavoro era obbligato a ricorrere all'elenco solo al momento della prima applicazione della legge, mentre era tenuto in seguito a rispettare la percentuale (entro 30 giorni dal verificarsi di vacanze) senza necessariamente dover ricorrere agli elenchi della Commissione.
La casa di cura era tenuta ad adibire i lavoratori extubercolotici a mansioni cui fossero fisicamente adatti (art. 3 1° comma). A garanzia di questo, alla Commissione era attribuito un compito di vigilanza, nonché, in caso di riscontro negativo, il potere di prescrivere il cambiamento delle mansioni (art. 8 2° comma lett. c). Il decreto non specificava però quale fosse l'efficacia della prescrizione e quali le conseguenze in caso di violazione.