La legge 21 Agosto 1921 n. 1312, sulle assunzioni obbligatorie degli invalidi di guerra presso le pp.aa. ed i privati imprenditori, costituì, come abbiamo già avuto modo di dire, il modello di riferimento per i successivi provvedimenti in materia di collocamento obbligatorio.
Fu introdotto dalla L. n. 1312/1921, per poi essere mutuato dalle successive leggi, il principio fondamentale dell'esclusione dai benefici del collocamento obbligatorio, da un lato di quegli invalidi che avessero perduta ogni capacità lavorativa o che per la natura ed il grado dell'invalidità avrebbero potuto recare pregiudizio alla salute e sicurezza dei compagni di lavoro ("massimi invalidi") (la legge n. 375/1950 avrebbe aggiunto il rischio per l'integrità degli impianti), dall'altro di quegli invalidi che avessero riportato determinate lesioni od infermità di tale tenuità da non giustificare il trattamento privilegiato ("minimi invalidi")(art. 2).
Comunque il datore di lavoro che spontaneamente avesse occupato invalidi non aventi diritto ai benefici di legge, per aver perduta ogni capacità lavorativa, aveva facoltà di conteggiarli nella percentuale degli invalidi che era tenuto ad occupare nell'azienda (art. 3 regolamento per l'applicazione R.D. 29 Gennaio 1922 n. 92).
La legge in esame, come quelle successive, poneva come destinatario dell'obbligo e punto di riferimento per il calcolo del limite dimensionale il datore di lavoro.
Alcuni autori notarono come, onde evitare conseguenze illogiche nell'applicazione della legge, fosse necessario interpretare restrittivamente l'espressione "datore di lavoro", e leggere in essa il solo significato di impresa, vero soggetto del diritto commerciale, sindacale e del lavoro . Di diverso avviso erano coloro che, in assenza di specifiche determinazioni legislative, non ravvisavano motivo a restringere la cerchia di soggetti obbligati e comprendevano quindi fra i destinatari dell'obbligo anche i privati datori di lavoro non imprenditori .
La legge del 1921 pose anche il principio dell'esonero dall'obbligo di assunzione delle aziende che, per le loro speciali condizioni, non fossero state nella possibilità di occupare invalidi (art. 12) e dei datori di lavoro che esercitavano lavorazioni a carattere stagionale o di breve durata per un periodo non superiore a tre mesi (art. 10 reg.). La legge n. 375 del 1950, in seguito, permise la riduzione dell'obbligo in favore degli imprenditori che occupavano in prevalenza personale femminile (art. 14 2° comma).
Nella dottrina si dubitò dell'opportunità di quest'ultima agevolazione, tenuto conto che proprio nelle imprese esercitanti lavorazioni leggere, come quelle a prevalenza di personale femminile, piu' facile poteva apparire l'inserimento di un lavoratore invalido. Per questo venne anche suggerita una lettura restrittiva della norma di favore, considerando beneficiate quelle imprese in cui la prevalenza del personale femminile fosse strettamente conseguente alla natura dell'attività in esse esercitata, tanto da palesare come accessorio il lavoro maschile nell'impresa .
La procedura che l'interessato al collocamento obbligatorio doveva rispettare iniziava con l'iscrizione nei ruoli provinciali di invalidi aspiranti al collocamento tenuti presso le rappresentanze provinciali dell'Opera nazionale degli invalidi di guerra e presso gli organi del collocamento.
Con la L. legge 3 Dicembre 1925 n. 2151, vennero soppressi gli organi del collocamento preesistenti e l'assunzione obbligatoria degli invalidi di guerra divenne di competenza esclusiva delle rappresentanze provinciali dell'Opera nazionale invalidi di guerra.
Il diritto all'iscrizione nei ruoli spettava ai soli invalidi disoccupati (art. 13 reg.) ma la successiva legge n. 375/1950 avrebbe aperto la possibilità di iscriversi anche agli invalidi già occupati.
La documentazione che l'invalido doveva presentare ai fini dell'iscrizione doveva certificarne che il grado di invalidità era compreso nei limiti massimo e minimo stabiliti dalla legge.
Il sistema della legge del 1921, analogamente a quello previsto dalla L. n. 482/1968, non tutelava l'invalido nella fase della richiesta della documentazione necessaria ai fini dell'iscrizione: in caso di erronea valutazione dell' Ufficiale Sanitario il prestatore di lavoro non aveva possibilità di chiedere il giudizio del Collegio medico provinciale. L'esclusione dalle liste provinciali dei collocabili si configurava quindi senza rimedio. Al contrario, nel caso fosse stato il datore di lavoro a lamentare l'erronea valutazione dell' Ufficiale Sanitario, il riesame era possibile ex art. 31 reg. Tale disparità venne eliminata dal regolamento della successiva L. n. 375 del 1950 che concesse all'invalido la facoltà di ricorrere al collegio medico in caso di valutazione negativa dell'Ufficiale sanitario (art. 6 D.P.R. 18 Giugno 1952 n. 1176).
Si richiedeva, anche, ai fini dell'iscrizione, l'esibizione di documenti atti a dimostrare le attitudini lavorative o professionali dell'invalido, anche in relazione all'occupazione cui aspirasse: l'interesse per la qualificazione professionale conseguita dall'invalido terminava qui (e lo stesso avviene con la normativa attualmente in vigore).
Le decisioni in ordine alle domande d'iscrizione competevano alla rappresentanza provinciale dell'Opera.
Una volta concessa l'iscrizione veniva rilasciata all'invalido una tessera personale. Questa era idonea a documentare e comprovare ufficialmente (esonerando l'imprenditore da ogni responsabilità a riguardo) la presenza nell'invalido di tutti i requisiti richiesti per beneficiare degli effetti di legge. In essa erano riportati, tra l'altro. il grado di educazione professionale conseguita e il grado di capacità lavorativa generica e specifica (art. 6).
Il sistema di collocamento obbligatorio posto in essere consisteva fondamentalmente nell'imposizione ai datori di lavoro dell'obbligo di rispettare un rapporto percentuale, di riservare, cioè, una quota dei posti dell'azienda a soggetti appartenenti alla categoria protetta.
Una via per adempiere agli obblighi di legge era quella dall'assunzione diretta. I datori di lavoro (art. 13 1° comma) avevano la facoltà di coprire il posto riservato con un invalido scelto liberamente all'interno degli elenchi oppure indipendentemente da questi. L'invalido che veniva così assunto doveva essere in possesso della documentazione comprovante la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per beneficiare delle disposizioni sul collocamento obbligatorio. Le rappresentanze provinciali dell'Opera avevano il compito di controllare la regolarità delle assunzioni in tal modo effettuate e, in caso di accertamento di violazioni, fissare all'imprenditore un termine, non superiore ad un mese, entro il quale porsi in regola con le norme di legge (art. 18 reg.). Se optava per l'assunzione diretta il datore di lavoro poteva rivolgere la propria scelta anche verso quegli invalidi che non erano destinatari delle norme del collocamento obbligatorio perché privi della capacità lavorativa e conteggiarli ai fini del raggiungimento della percentuale prescritta (art. 3 reg.).
L'altra via per adempiere all'obbligo era quella delle assunzioni effettuate per il tramite delle rappresentanze provinciali dell'Opera (artt. 19 e 22 reg.). Queste inviavano, agli imprenditori che ne facevano richiesta, un elenco del personale invalido disponibile nel luogo di lavoro e località viciniori.
Il ricorso a questi organi, da facoltativo che era, diveniva obbligatorio nei casi in cui il datore di lavoro non riusciva a coprire per via diretta il numero dei posti riservati (art. 20 reg.).
La procedura per l'avviamento del minorato (che sarebbe poi stata, nella sostanza, confermata dalla successiva legge del 1950 n. 375) era tale da far escludere alla dottrina che dall'iscrizione nel ruolo scaturisse un diritto all'assunzione obbligatoria. La non vincolatività degli elenchi, la possibilità di assunzione diretta da parte del datore di lavoro, portavano necessariamente a concludere per un semplice valore di autorizzazione preventiva dell'iscrizione. Questa era prevista al solo fine di agevolare il datore di lavoro nell'esecuzione dell'obbligo e di prevenirlo dal rischio di una scelta illecita. Agli stessi organi preposti al collocamento speciale era riservato dalla legge un ruolo non determinante. Queste si limitavano a svolgere un'attività preventiva al collocamento vero e proprio (di identificazione dei soggetti beneficiari) ed una ad esso successiva (di controllo del rispetto delle percentuali prescritte) . Non essendo possibile configurare un diritto soggettivo dell'invalido, tutto il sistema del collocamento obbligatorio si riduceva, in ultima analisi, ad un obbligo sanzionato penalmente.
Tale opinione non era da tutti condivisa: la dottrina era divisa circa la natura delle limitazioni imposte alla libertà negoziale del datore di lavoro. Soprattutto ci si chiedeva quanto effettivo potere avessero gli organi del collocamento di inserire l'invalido nell'impresa nonostante l'inerzia dell'imprenditore.
Poiché la questione è stata affrontata anche di recente e piu' o meno nei medesimi termini, non ci sembra il caso di soffermarci a lungo su momenti ormai lontani di questo dibattito.
Ci limitiamo a dire che, ad avviso della maggiore dottrina e giurisprudenza, queste leggi non facevano intravedere la possibilità di un intervento degli organi del collocamento in grado, in caso di rifiuto di contrarre da parte del datore di lavoro, di costituire autoritativamente il rapporto di lavoro (come invece avveniva per le leggi tedesche sulle assunzioni obbligatorie): le leggi italiane ponevano in essere un semplice obbligo a contrarre a carico dell'imprenditore e lasciavano integra la natura negoziale del rapporto di lavoro, cosicché, in caso di rifiuto da parte del datore di lavoro di concludere il contratto con l'invalido, non era possibile instaurare altrimenti il rapporto e scattava la sola, indiretta, coazione a contrarre costituita dalla sanzione penale .
Un discorso a parte, però, dovrà essere fatto quando esamineremo le leggi sul collocamento obbligatorio dei privi della vista, mentre, a proposito degli invalidi del lavoro, ricorderemo i problemi intepretativi suscitati a riguardo dal D.Lgs.C.p.S. n. 1222.
Una volta costituito il rapporto di lavoro era possibile verificare che l'inserimento del minorato nell'azienda non recasse pregiudizio all'ambiente di lavoro: il prestatore di lavoro invalido o il datore di lavoro (e quest'ultimo anche prima dell'insaturazione del rapporto, in forza dell'art. 31 del regolamento) potevano, in ogni tempo, chiedere una visita collegiale di controllo per accertare le condizioni dell'invalido al fine di comprovare che l'invalido, per la natura ed il grado della sua mutilazione o invalidità e per le sue condizioni di salute non potesse riuscire di pregiudizio alla salute e sicurezza dei compagni di lavoro (art. 5). La visita veniva svolta da un apposito Collegio Medico provinciale.
Altre leggi sul collocamento obbligatorio prevederanno un organo con funzioni del genere e, ogni volta, faranno in modo che in esso vengano rappresentati sia gli interessi dei datori di lavoro, che quelli dei prestatori di lavoro, che, infine, quelli degli appartenenti alla categoria protetta. Le decisioni di questi collegi medici, se favorevoli all'invalido, attribuivano a questo il diritto ai salari perduti per l'allontanamento disposto dal datore di lavoro, in attesa del giudizio del collegio (art. 31 reg.).
La dottrina e la giurisprudenza ebbero modo di precisare come dall'obbligo di occupare predisposto dalla legge in esame e dalle seguenti, non scaturisse l'inamovibilità dell'invalido, rimanendo la facoltà di recesso ad nutum del datore di lavoro, intatta da ogni limitazione .
Per forza di cose, ogni volta che ricorre un obbligo di contrarre si affianca ad esso una predeterminazione del contenuto, e diversamente non poteva essere in materia di assunzioni obbligatorie. Per questo la legge prescriveva al datore di lavoro di applicare agli invalidi di guerra le normali condizioni di assunzione dell'azienda, nonchè, una volta istituito il rapporto, le normali condizioni di lavoro (art. 16).
Questo principio dell'uniformità del trattamento economico e normativo verrà poi confermato dalle leggi sul collocamento obbligatorio emanate a seguito di quella in esame, tanto da far ritenere a parte della dottrina che questo costituisse un principio generale da riconoscersi implicitamente anche nel silenzio della legge .
L'invalido collocato continuava a godere del trattamento di pensione di cui eventualmente avesse beneficiato, qualunque fosse il grado della rieducazione conseguita o l'occupazione per la quale fosse stato assunto (e sempre restando fermo il diritto a percepire l'intera retribuzione spettante al personale esercitante la medesima funzione) .
La legge 3 Giugno 1975 n. 375 estese i benefici del collocamento obbligatorio anche agli invalidi civili di guerra, i non militari, cioè, che avevano riportato un invalidità o una minorazione per fatto bellico.
Ciò, in realtà, era già nelle intenzioni del legislatore al momento in cui emanò il D.L.C.p.S. 2 Marzo 1948 n. 135 (rat. L. 3 Novembre 1952 n. 1790). Per un errore di coordinamento delle leggi, però, l'estensione non potè avere ad oggetto il collocamento obbligatorio.
Tale estensione fu osteggiata, durante i lavori parlamentari, dai militari invalidi di guerra, i quali invocavano una sorta di diritto nativo nei confronti dello Stato, tale da porli in una posizione giuridica non raffrontabile con quella degli invalidi civili di guerra. Si sosteneva che i militari invalidi dovevano l'infermità o la mutilazione per l'adempimento di un dovere e che quindi piu' di altri avevano diritto ad un atto di riconoscenza da parte dello stato.
Ad essi si rispondeva che non vi era motivo di disconoscere un diritto nativo al risarcimento verso lo stato anche a coloro che, nelle fabbriche, nelle città, avevano continuato a svolgere un'attività lavorativa, a rendersi utile, ad esporsi nonostante i rischi dei bombardamenti e gli eventi di una guerra che colpiva, crudelmente e senza discriminazioni. Si poteva anzi affermare che tale diritto spettasse in maggiore misura ai civili, i quali non erano obbligati a porre a repentaglio la propria persona, come invece i militari.
L'urgenza di un provvedimento legislativo ed il senso di solidarietà che i drammi vissuti avevano generato nella nazione, fece sì che fossero superate le remore dell'Associazione Nazionale degli invalidi e soprattutto dei datori di lavoro (preoccupati, a loro volta, per il calo di produttività che le imposizioni legislative avrebbero potuto comportare), si che nella stessa legge del 1950 furono contemplati come destinatari della tutela anche gli invalidi civili per fatto di guerra, pur se con distinte percentuali nella riserva dei posti (in un modo o nell'altro, comunque, la tutela disposta dalla legge del 1950 veniva ad interessare anche altre categorie ).
La legge n. 375/1950 enfatizzò piu' della precedente l'aspetto della effettiva qualificazione professionale dell'invalido.
Gli imprenditori di aziende con non piu' di 20 dipendenti avevano la facoltà di dimostrare l'assoluta impossibilità di utilizzare il minorato perché non provvisto del requisito professionale minimo indispensabile per il genere di lavoro, principale o ausiliario, praticato nell'azienda. In tal caso l'assunzione poteva essere rimandata per un periodo di 180 giorni, in attesa che fra i minorati si rendessero disponibili elementi piu' idonei (art. 3 3° comma reg.).
Così come il regolamento per l'applicazione della legge del 1921 n. 1312, anche il regolamento per l'esecuzione della legge del 1950 all'art. 3 stabiliva che l'invalido che avesse voluto avvalersi delle disposizioni della legge, inoltrando la domanda per l'iscrizione nei ruoli, avrebbe dovuto trovarsi nella condizione di disoccupato.
Una parte della dottrina notò come la norma richiedesse, indubbiamente un'interpretazione non strettamente letterale, onde superare il contrasto con il dettato dell'art. 43 del regolamento, in forza del quale lo stato di occupazione non avrebbe infirmato il diritto dell'invalido a fruire dei vantaggi disposti dalla legge nei concorsi e nelle assunzioni: l'art. 3 rendeva necessario il requisito della disoccupazione al solo fine dell'iscrizione nelle liste, onde finalizzare l'opera di collocamento espletata dalle rappresentanze alla tutela di quegli invalidi maggiormente bisognosi. Secondo questa dottrina, ciò non escludeva che attraverso le assunzioni dirette anche l'invalido già occupato potesse comunque beneficiare della tutela di legge, in conformità a quanto previsto all'art. 10 della legge n. 264 del 1949, per il quale potevano ottenere l'iscrizione nelle liste di collocamento anche i lavoratori occupati in cerca di altra occupazione. A completamento di queste argomentazioni si osservava come l'invalido già occupato, nel fruire dei benefici della legge, lasciava scoperto un posto che, comunque, sarebbe pur sempre spettato ad un invalido.
Il Consiglio di Stato risolse la questione affermando che, ai fini dell'iscrizione nei ruoli, non era necessario certificare lo stato di disoccupazione. Il Consiglio di Stato asserì che lo stato di disoccupazione era da intendersi in senso, non astratto ed oggettivo, ma relativo e soggettivo, riferito cioè all'occupazione cui aspirava l'invalido (che, beninteso, poteva anche essere, come nel collocamento ordinario, un'occupazione diversa da quella già praticata).
La legge del 1950 conteneva nel regolamento d'esecuzione (art. 28) il primo esempio di "scorrimento" fra i diversi beneficiari: qualora, infatti, il datore di lavoro non avesse coperto la percentuale prescritta grazie ad esonero o per forza di mancanza di invalidi del lavoro da collocare, questi era tenuto a raggiungere detta aliquota, comunque, attraverso l'assunzione di tanti orfani di guerra quanti erano gli invalidi di guerra non assunti.
Con l'art. 8 del regolamento di esecuzione si provvedeva, infine, al necessario coordinamento fra gli organi provinciali dell'Opera nazionale ed i corrispondenti Uffici di collocamento. In base all'art. 9 della legge sul collocamento del 29 Aprile 1949 n. 264, infatti, i mutilati e gli invalidi di guerra, i mutilati ed invalidi del lavoro, nonché i lavoratori dimessi dai luoghi di cura per guarigione clinica da affezione tubercolare avevano acquisito il diritto all'iscrizione nelle liste di collocamento tenute presso gli Uffici del lavoro. La legge n. 264 sul collocamento prescriveva, ai fini dell'inserimento nelle liste, la qualificazione per professioni e per mestieri. Questa era affidata alle apposite commissioni previste dalle leggi speciali, che nel caso in esame si identificavano con le rappresentanze provinciali dell'Opera.
Importante innovazione era quella introdotta dal 2° comma dell'art. 20 del regolamento di esecuzione il quale disciplinava, opportunamente, la questione della computabilità o meno, ai fini dell'adempimento agli obblighi di legge, dei lavoratori assunti invalidi e guariti nel corso del rapporto. Con tale norma, pur non istituendosi un diritto soggettivo in favore dell'invalido non piu' tale (e cioè restando nei limiti di una mera facoltà concessa al datore di lavoro), si rendeva probabile la sua permanenza in servizio, stante l'interesse del datore di lavoro ad evitare avvicendamenti di personale, soprattutto qualora si fosse trattato di sostituire un elemento, professionalmente addestrato e fisicamente valido, con un altro non avente tali requisiti.
Le norme regolamentari introdussero un principio anch'esso fatto proprio dalla successiva legge generale: esse attribuirono all'invalido la possibilità di adire il Collegio medico onde valutare la compatibilità della mansioni assegnategli dal datore di lavoro con le proprie condizioni fisiche (art. 14 reg.). In caso di giudizio favorevole all'invalido, il datore di lavoro era obbligato ad assegnarlo ad un'occupazione compatibile con le sue condizioni fisiche.
Si voleva, così, porre rimedio all'eventualità di arbitrarie e dannose scelte da parte del datore di lavoro, ma le norme non mancarono di suscitare dubbi di illegittimità per esubero rispetto alle previsioni della legge .
Con la legge 5 Marzo 1963 n. 367 il legislatore operò profonde e sostanziali modifiche alle norme previste dalla legge 3 Giugno 1950 n. 375. La piu' rilevante era quella relativa alle modalità del collocamento obbligatorio: a parte i diversi organi interessati la soluzione adottata dalla legge del 1963 sarebbe stata fatta propria dalla successiva legge generale n. 482/1968.
Le leggi del 1921 che quella del 1950 lasciavano all'imprenditore, ai fini dell'adempimento dell'obbligo di assunzione, la scelta fra il ricorso alle liste presso le rappresentanze provinciali dell'Opera e l'assunzione diretta. L'iscrizione nel ruolo dell'invalido costituiva una sorta di autorizzazione preventiva a favore del datore di lavoro, facilitato, così, nell'adempimento degli obblighi di legge ed esonerato dalle responsabilità e dalle difficoltà proprie dell'accertamento del possesso da parte del prestatore di lavoro delle qualità richieste.
Con le modifiche apportate dalla legge del 1963 il ricorso alle liste, da facoltativo che era, diveniva obbligatorio e l'iscrizione in esse diveniva per l'invalido presupposto imprescindibile per il godimento del trattamento privilegiato (art. 4): il datore di lavoro poteva procedere alle assunzioni prescritte solo tramite richiesta numerica rivolta alle rappresentanze provinciali dell'Opera, le quali avrebbero, quindi, scelto negli elenchi gli iscritti da avviare.
La dottrina e la giurisprudenza ebbero modo di chiarire come l'ulteriore limite alla libertà dell'imprenditore costituito dall'obbligo della richiesta numerica non fosse comunque sufficiente, così come nel collocamento ordinario, a far intravvedere l'imposizione di un'obbligo a contrarre, nè era possibile parlare di un diritto soggettivo all'assunzione in capo all'invalido iscritto nel ruolo: all'inadempimento dell'obbligo di riserva dei posti conseguiva sempre e comunque la mera inflizione della sanzione penale.
La legge del 1963 (e così farà anche quella del 1968) concedeva, comunque, al datore di lavoro di effettuare richiesta nominativa nei casi in cui con l'assunzione obbligatoria avesse dovuto assegnare alcuni tipi di mansioni tassativamente indicati. Ma anche nel caso di richieste nominativa il datore di lavoro era comunque tenuto ad attingere dagli elenchi tenuti presso le rappresentanze provinciali dell'Opera.
La legge 21 Agosto 1921 n. 1312, sulle assunzioni obbligatorie degli invalidi di guerra presso le pp.aa. ed i privati imprenditori, costituì, come abbiamo già avuto modo di dire, il modello di riferimento per i successivi provvedimenti in materia di collocamento obbligatorio.
Fu introdotto dalla L. n. 1312/1921, per poi essere mutuato dalle successive leggi, il principio fondamentale dell'esclusione dai benefici del collocamento obbligatorio, da un lato di quegli invalidi che avessero perduta ogni capacità lavorativa o che per la natura ed il grado dell'invalidità avrebbero potuto recare pregiudizio alla salute e sicurezza dei compagni di lavoro ("massimi invalidi") (la legge n. 375/1950 avrebbe aggiunto il rischio per l'integrità degli impianti), dall'altro di quegli invalidi che avessero riportato determinate lesioni od infermità di tale tenuità da non giustificare il trattamento privilegiato ("minimi invalidi")(art. 2).
Comunque il datore di lavoro che spontaneamente avesse occupato invalidi non aventi diritto ai benefici di legge, per aver perduta ogni capacità lavorativa, aveva facoltà di conteggiarli nella percentuale degli invalidi che era tenuto ad occupare nell'azienda (art. 3 regolamento per l'applicazione R.D. 29 Gennaio 1922 n. 92).
La legge in esame, come quelle successive, poneva come destinatario dell'obbligo e punto di riferimento per il calcolo del limite dimensionale il datore di lavoro.
Alcuni autori notarono come, onde evitare conseguenze illogiche nell'applicazione della legge, fosse necessario interpretare restrittivamente l'espressione "datore di lavoro", e leggere in essa il solo significato di impresa, vero soggetto del diritto commerciale, sindacale e del lavoro . Di diverso avviso erano coloro che, in assenza di specifiche determinazioni legislative, non ravvisavano motivo a restringere la cerchia di soggetti obbligati e comprendevano quindi fra i destinatari dell'obbligo anche i privati datori di lavoro non imprenditori .
La legge del 1921 pose anche il principio dell'esonero dall'obbligo di assunzione delle aziende che, per le loro speciali condizioni, non fossero state nella possibilità di occupare invalidi (art. 12) e dei datori di lavoro che esercitavano lavorazioni a carattere stagionale o di breve durata per un periodo non superiore a tre mesi (art. 10 reg.). La legge n. 375 del 1950, in seguito, permise la riduzione dell'obbligo in favore degli imprenditori che occupavano in prevalenza personale femminile (art. 14 2° comma).
Nella dottrina si dubitò dell'opportunità di quest'ultima agevolazione, tenuto conto che proprio nelle imprese esercitanti lavorazioni leggere, come quelle a prevalenza di personale femminile, piu' facile poteva apparire l'inserimento di un lavoratore invalido. Per questo venne anche suggerita una lettura restrittiva della norma di favore, considerando beneficiate quelle imprese in cui la prevalenza del personale femminile fosse strettamente conseguente alla natura dell'attività in esse esercitata, tanto da palesare come accessorio il lavoro maschile nell'impresa .
La procedura che l'interessato al collocamento obbligatorio doveva rispettare iniziava con l'iscrizione nei ruoli provinciali di invalidi aspiranti al collocamento tenuti presso le rappresentanze provinciali dell'Opera nazionale degli invalidi di guerra e presso gli organi del collocamento.
Con la L. legge 3 Dicembre 1925 n. 2151, vennero soppressi gli organi del collocamento preesistenti e l'assunzione obbligatoria degli invalidi di guerra divenne di competenza esclusiva delle rappresentanze provinciali dell'Opera nazionale invalidi di guerra.
Il diritto all'iscrizione nei ruoli spettava ai soli invalidi disoccupati (art. 13 reg.) ma la successiva legge n. 375/1950 avrebbe aperto la possibilità di iscriversi anche agli invalidi già occupati.
La documentazione che l'invalido doveva presentare ai fini dell'iscrizione doveva certificarne che il grado di invalidità era compreso nei limiti massimo e minimo stabiliti dalla legge.
Il sistema della legge del 1921, analogamente a quello previsto dalla L. n. 482/1968, non tutelava l'invalido nella fase della richiesta della documentazione necessaria ai fini dell'iscrizione: in caso di erronea valutazione dell' Ufficiale Sanitario il prestatore di lavoro non aveva possibilità di chiedere il giudizio del Collegio medico provinciale. L'esclusione dalle liste provinciali dei collocabili si configurava quindi senza rimedio. Al contrario, nel caso fosse stato il datore di lavoro a lamentare l'erronea valutazione dell' Ufficiale Sanitario, il riesame era possibile ex art. 31 reg. Tale disparità venne eliminata dal regolamento della successiva L. n. 375 del 1950 che concesse all'invalido la facoltà di ricorrere al collegio medico in caso di valutazione negativa dell'Ufficiale sanitario (art. 6 D.P.R. 18 Giugno 1952 n. 1176).
Si richiedeva, anche, ai fini dell'iscrizione, l'esibizione di documenti atti a dimostrare le attitudini lavorative o professionali dell'invalido, anche in relazione all'occupazione cui aspirasse: l'interesse per la qualificazione professionale conseguita dall'invalido terminava qui (e lo stesso avviene con la normativa attualmente in vigore).
Le decisioni in ordine alle domande d'iscrizione competevano alla rappresentanza provinciale dell'Opera.
Una volta concessa l'iscrizione veniva rilasciata all'invalido una tessera personale. Questa era idonea a documentare e comprovare ufficialmente (esonerando l'imprenditore da ogni responsabilità a riguardo) la presenza nell'invalido di tutti i requisiti richiesti per beneficiare degli effetti di legge. In essa erano riportati, tra l'altro. il grado di educazione professionale conseguita e il grado di capacità lavorativa generica e specifica (art. 6).
Il sistema di collocamento obbligatorio posto in essere consisteva fondamentalmente nell'imposizione ai datori di lavoro dell'obbligo di rispettare un rapporto percentuale, di riservare, cioè, una quota dei posti dell'azienda a soggetti appartenenti alla categoria protetta.
Una via per adempiere agli obblighi di legge era quella dall'assunzione diretta. I datori di lavoro (art. 13 1° comma) avevano la facoltà di coprire il posto riservato con un invalido scelto liberamente all'interno degli elenchi oppure indipendentemente da questi. L'invalido che veniva così assunto doveva essere in possesso della documentazione comprovante la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per beneficiare delle disposizioni sul collocamento obbligatorio. Le rappresentanze provinciali dell'Opera avevano il compito di controllare la regolarità delle assunzioni in tal modo effettuate e, in caso di accertamento di violazioni, fissare all'imprenditore un termine, non superiore ad un mese, entro il quale porsi in regola con le norme di legge (art. 18 reg.). Se optava per l'assunzione diretta il datore di lavoro poteva rivolgere la propria scelta anche verso quegli invalidi che non erano destinatari delle norme del collocamento obbligatorio perché privi della capacità lavorativa e conteggiarli ai fini del raggiungimento della percentuale prescritta (art. 3 reg.).
L'altra via per adempiere all'obbligo era quella delle assunzioni effettuate per il tramite delle rappresentanze provinciali dell'Opera (artt. 19 e 22 reg.). Queste inviavano, agli imprenditori che ne facevano richiesta, un elenco del personale invalido disponibile nel luogo di lavoro e località viciniori.
Il ricorso a questi organi, da facoltativo che era, diveniva obbligatorio nei casi in cui il datore di lavoro non riusciva a coprire per via diretta il numero dei posti riservati (art. 20 reg.).
La procedura per l'avviamento del minorato (che sarebbe poi stata, nella sostanza, confermata dalla successiva legge del 1950 n. 375) era tale da far escludere alla dottrina che dall'iscrizione nel ruolo scaturisse un diritto all'assunzione obbligatoria. La non vincolatività degli elenchi, la possibilità di assunzione diretta da parte del datore di lavoro, portavano necessariamente a concludere per un semplice valore di autorizzazione preventiva dell'iscrizione. Questa era prevista al solo fine di agevolare il datore di lavoro nell'esecuzione dell'obbligo e di prevenirlo dal rischio di una scelta illecita. Agli stessi organi preposti al collocamento speciale era riservato dalla legge un ruolo non determinante. Queste si limitavano a svolgere un'attività preventiva al collocamento vero e proprio (di identificazione dei soggetti beneficiari) ed una ad esso successiva (di controllo del rispetto delle percentuali prescritte) . Non essendo possibile configurare un diritto soggettivo dell'invalido, tutto il sistema del collocamento obbligatorio si riduceva, in ultima analisi, ad un obbligo sanzionato penalmente.
Tale opinione non era da tutti condivisa: la dottrina era divisa circa la natura delle limitazioni imposte alla libertà negoziale del datore di lavoro. Soprattutto ci si chiedeva quanto effettivo potere avessero gli organi del collocamento di inserire l'invalido nell'impresa nonostante l'inerzia dell'imprenditore.
Poiché la questione è stata affrontata anche di recente e piu' o meno nei medesimi termini, non ci sembra il caso di soffermarci a lungo su momenti ormai lontani di questo dibattito.
Ci limitiamo a dire che, ad avviso della maggiore dottrina e giurisprudenza, queste leggi non facevano intravedere la possibilità di un intervento degli organi del collocamento in grado, in caso di rifiuto di contrarre da parte del datore di lavoro, di costituire autoritativamente il rapporto di lavoro (come invece avveniva per le leggi tedesche sulle assunzioni obbligatorie): le leggi italiane ponevano in essere un semplice obbligo a contrarre a carico dell'imprenditore e lasciavano integra la natura negoziale del rapporto di lavoro, cosicché, in caso di rifiuto da parte del datore di lavoro di concludere il contratto con l'invalido, non era possibile instaurare altrimenti il rapporto e scattava la sola, indiretta, coazione a contrarre costituita dalla sanzione penale .
Un discorso a parte, però, dovrà essere fatto quando esamineremo le leggi sul collocamento obbligatorio dei privi della vista, mentre, a proposito degli invalidi del lavoro, ricorderemo i problemi intepretativi suscitati a riguardo dal D.Lgs.C.p.S. n. 1222.
Una volta costituito il rapporto di lavoro era possibile verificare che l'inserimento del minorato nell'azienda non recasse pregiudizio all'ambiente di lavoro: il prestatore di lavoro invalido o il datore di lavoro (e quest'ultimo anche prima dell'insaturazione del rapporto, in forza dell'art. 31 del regolamento) potevano, in ogni tempo, chiedere una visita collegiale di controllo per accertare le condizioni dell'invalido al fine di comprovare che l'invalido, per la natura ed il grado della sua mutilazione o invalidità e per le sue condizioni di salute non potesse riuscire di pregiudizio alla salute e sicurezza dei compagni di lavoro (art. 5). La visita veniva svolta da un apposito Collegio Medico provinciale.
Altre leggi sul collocamento obbligatorio prevederanno un organo con funzioni del genere e, ogni volta, faranno in modo che in esso vengano rappresentati sia gli interessi dei datori di lavoro, che quelli dei prestatori di lavoro, che, infine, quelli degli appartenenti alla categoria protetta. Le decisioni di questi collegi medici, se favorevoli all'invalido, attribuivano a questo il diritto ai salari perduti per l'allontanamento disposto dal datore di lavoro, in attesa del giudizio del collegio (art. 31 reg.).
La dottrina e la giurisprudenza ebbero modo di precisare come dall'obbligo di occupare predisposto dalla legge in esame e dalle seguenti, non scaturisse l'inamovibilità dell'invalido, rimanendo la facoltà di recesso ad nutum del datore di lavoro, intatta da ogni limitazione .
Per forza di cose, ogni volta che ricorre un obbligo di contrarre si affianca ad esso una predeterminazione del contenuto, e diversamente non poteva essere in materia di assunzioni obbligatorie. Per questo la legge prescriveva al datore di lavoro di applicare agli invalidi di guerra le normali condizioni di assunzione dell'azienda, nonchè, una volta istituito il rapporto, le normali condizioni di lavoro (art. 16).
Questo principio dell'uniformità del trattamento economico e normativo verrà poi confermato dalle leggi sul collocamento obbligatorio emanate a seguito di quella in esame, tanto da far ritenere a parte della dottrina che questo costituisse un principio generale da riconoscersi implicitamente anche nel silenzio della legge .
L'invalido collocato continuava a godere del trattamento di pensione di cui eventualmente avesse beneficiato, qualunque fosse il grado della rieducazione conseguita o l'occupazione per la quale fosse stato assunto (e sempre restando fermo il diritto a percepire l'intera retribuzione spettante al personale esercitante la medesima funzione) .
La legge 3 Giugno 1975 n. 375 estese i benefici del collocamento obbligatorio anche agli invalidi civili di guerra, i non militari, cioè, che avevano riportato un invalidità o una minorazione per fatto bellico.
Ciò, in realtà, era già nelle intenzioni del legislatore al momento in cui emanò il D.L.C.p.S. 2 Marzo 1948 n. 135 (rat. L. 3 Novembre 1952 n. 1790). Per un errore di coordinamento delle leggi, però, l'estensione non potè avere ad oggetto il collocamento obbligatorio.
Tale estensione fu osteggiata, durante i lavori parlamentari, dai militari invalidi di guerra, i quali invocavano una sorta di diritto nativo nei confronti dello Stato, tale da porli in una posizione giuridica non raffrontabile con quella degli invalidi civili di guerra. Si sosteneva che i militari invalidi dovevano l'infermità o la mutilazione per l'adempimento di un dovere e che quindi piu' di altri avevano diritto ad un atto di riconoscenza da parte dello stato.
Ad essi si rispondeva che non vi era motivo di disconoscere un diritto nativo al risarcimento verso lo stato anche a coloro che, nelle fabbriche, nelle città, avevano continuato a svolgere un'attività lavorativa, a rendersi utile, ad esporsi nonostante i rischi dei bombardamenti e gli eventi di una guerra che colpiva, crudelmente e senza discriminazioni. Si poteva anzi affermare che tale diritto spettasse in maggiore misura ai civili, i quali non erano obbligati a porre a repentaglio la propria persona, come invece i militari.
L'urgenza di un provvedimento legislativo ed il senso di solidarietà che i drammi vissuti avevano generato nella nazione, fece sì che fossero superate le remore dell'Associazione Nazionale degli invalidi e soprattutto dei datori di lavoro (preoccupati, a loro volta, per il calo di produttività che le imposizioni legislative avrebbero potuto comportare), si che nella stessa legge del 1950 furono contemplati come destinatari della tutela anche gli invalidi civili per fatto di guerra, pur se con distinte percentuali nella riserva dei posti (in un modo o nell'altro, comunque, la tutela disposta dalla legge del 1950 veniva ad interessare anche altre categorie ).
La legge n. 375/1950 enfatizzò piu' della precedente l'aspetto della effettiva qualificazione professionale dell'invalido.
Gli imprenditori di aziende con non piu' di 20 dipendenti avevano la facoltà di dimostrare l'assoluta impossibilità di utilizzare il minorato perché non provvisto del requisito professionale minimo indispensabile per il genere di lavoro, principale o ausiliario, praticato nell'azienda. In tal caso l'assunzione poteva essere rimandata per un periodo di 180 giorni, in attesa che fra i minorati si rendessero disponibili elementi piu' idonei (art. 3 3° comma reg.).
Così come il regolamento per l'applicazione della legge del 1921 n. 1312, anche il regolamento per l'esecuzione della legge del 1950 all'art. 3 stabiliva che l'invalido che avesse voluto avvalersi delle disposizioni della legge, inoltrando la domanda per l'iscrizione nei ruoli, avrebbe dovuto trovarsi nella condizione di disoccupato.
Una parte della dottrina notò come la norma richiedesse, indubbiamente un'interpretazione non strettamente letterale, onde superare il contrasto con il dettato dell'art. 43 del regolamento, in forza del quale lo stato di occupazione non avrebbe infirmato il diritto dell'invalido a fruire dei vantaggi disposti dalla legge nei concorsi e nelle assunzioni: l'art. 3 rendeva necessario il requisito della disoccupazione al solo fine dell'iscrizione nelle liste, onde finalizzare l'opera di collocamento espletata dalle rappresentanze alla tutela di quegli invalidi maggiormente bisognosi. Secondo questa dottrina, ciò non escludeva che attraverso le assunzioni dirette anche l'invalido già occupato potesse comunque beneficiare della tutela di legge, in conformità a quanto previsto all'art. 10 della legge n. 264 del 1949, per il quale potevano ottenere l'iscrizione nelle liste di collocamento anche i lavoratori occupati in cerca di altra occupazione. A completamento di queste argomentazioni si osservava come l'invalido già occupato, nel fruire dei benefici della legge, lasciava scoperto un posto che, comunque, sarebbe pur sempre spettato ad un invalido.
Il Consiglio di Stato risolse la questione affermando che, ai fini dell'iscrizione nei ruoli, non era necessario certificare lo stato di disoccupazione. Il Consiglio di Stato asserì che lo stato di disoccupazione era da intendersi in senso, non astratto ed oggettivo, ma relativo e soggettivo, riferito cioè all'occupazione cui aspirava l'invalido (che, beninteso, poteva anche essere, come nel collocamento ordinario, un'occupazione diversa da quella già praticata).
La legge del 1950 conteneva nel regolamento d'esecuzione (art. 28) il primo esempio di "scorrimento" fra i diversi beneficiari: qualora, infatti, il datore di lavoro non avesse coperto la percentuale prescritta grazie ad esonero o per forza di mancanza di invalidi del lavoro da collocare, questi era tenuto a raggiungere detta aliquota, comunque, attraverso l'assunzione di tanti orfani di guerra quanti erano gli invalidi di guerra non assunti.
Con l'art. 8 del regolamento di esecuzione si provvedeva, infine, al necessario coordinamento fra gli organi provinciali dell'Opera nazionale ed i corrispondenti Uffici di collocamento. In base all'art. 9 della legge sul collocamento del 29 Aprile 1949 n. 264, infatti, i mutilati e gli invalidi di guerra, i mutilati ed invalidi del lavoro, nonché i lavoratori dimessi dai luoghi di cura per guarigione clinica da affezione tubercolare avevano acquisito il diritto all'iscrizione nelle liste di collocamento tenute presso gli Uffici del lavoro. La legge n. 264 sul collocamento prescriveva, ai fini dell'inserimento nelle liste, la qualificazione per professioni e per mestieri. Questa era affidata alle apposite commissioni previste dalle leggi speciali, che nel caso in esame si identificavano con le rappresentanze provinciali dell'Opera.
Importante innovazione era quella introdotta dal 2° comma dell'art. 20 del regolamento di esecuzione il quale disciplinava, opportunamente, la questione della computabilità o meno, ai fini dell'adempimento agli obblighi di legge, dei lavoratori assunti invalidi e guariti nel corso del rapporto. Con tale norma, pur non istituendosi un diritto soggettivo in favore dell'invalido non piu' tale (e cioè restando nei limiti di una mera facoltà concessa al datore di lavoro), si rendeva probabile la sua permanenza in servizio, stante l'interesse del datore di lavoro ad evitare avvicendamenti di personale, soprattutto qualora si fosse trattato di sostituire un elemento, professionalmente addestrato e fisicamente valido, con un altro non avente tali requisiti.
Le norme regolamentari introdussero un principio anch'esso fatto proprio dalla successiva legge generale: esse attribuirono all'invalido la possibilità di adire il Collegio medico onde valutare la compatibilità della mansioni assegnategli dal datore di lavoro con le proprie condizioni fisiche (art. 14 reg.). In caso di giudizio favorevole all'invalido, il datore di lavoro era obbligato ad assegnarlo ad un'occupazione compatibile con le sue condizioni fisiche.
Si voleva, così, porre rimedio all'eventualità di arbitrarie e dannose scelte da parte del datore di lavoro, ma le norme non mancarono di suscitare dubbi di illegittimità per esubero rispetto alle previsioni della legge .
Con la legge 5 Marzo 1963 n. 367 il legislatore operò profonde e sostanziali modifiche alle norme previste dalla legge 3 Giugno 1950 n. 375. La piu' rilevante era quella relativa alle modalità del collocamento obbligatorio: a parte i diversi organi interessati la soluzione adottata dalla legge del 1963 sarebbe stata fatta propria dalla successiva legge generale n. 482/1968.
Le leggi del 1921 che quella del 1950 lasciavano all'imprenditore, ai fini dell'adempimento dell'obbligo di assunzione, la scelta fra il ricorso alle liste presso le rappresentanze provinciali dell'Opera e l'assunzione diretta. L'iscrizione nel ruolo dell'invalido costituiva una sorta di autorizzazione preventiva a favore del datore di lavoro, facilitato, così, nell'adempimento degli obblighi di legge ed esonerato dalle responsabilità e dalle difficoltà proprie dell'accertamento del possesso da parte del prestatore di lavoro delle qualità richieste.
Con le modifiche apportate dalla legge del 1963 il ricorso alle liste, da facoltativo che era, diveniva obbligatorio e l'iscrizione in esse diveniva per l'invalido presupposto imprescindibile per il godimento del trattamento privilegiato (art. 4): il datore di lavoro poteva procedere alle assunzioni prescritte solo tramite richiesta numerica rivolta alle rappresentanze provinciali dell'Opera, le quali avrebbero, quindi, scelto negli elenchi gli iscritti da avviare.
La dottrina e la giurisprudenza ebbero modo di chiarire come l'ulteriore limite alla libertà dell'imprenditore costituito dall'obbligo della richiesta numerica non fosse comunque sufficiente, così come nel collocamento ordinario, a far intravvedere l'imposizione di un'obbligo a contrarre, nè era possibile parlare di un diritto soggettivo all'assunzione in capo all'invalido iscritto nel ruolo: all'inadempimento dell'obbligo di riserva dei posti conseguiva sempre e comunque la mera inflizione della sanzione penale.
La legge del 1963 (e così farà anche quella del 1968) concedeva, comunque, al datore di lavoro di effettuare richiesta nominativa nei casi in cui con l'assunzione obbligatoria avesse dovuto assegnare alcuni tipi di mansioni tassativamente indicati. Ma anche nel caso di richieste nominativa il datore di lavoro era comunque tenuto ad attingere dagli elenchi tenuti presso le rappresentanze provinciali dell'Opera.