La maggior parte delle normative che esamineremo si modellavano, quale piu' quale meno, al sistema scelto dal legislatore con la prima legge in materia, la n. 1312 del 1921 a favore degli invalidi e mutilati di guerra.
Il modello di "assistenza" della L. n. 1312/1921 non aveva precedenti ma la sua notevole carica innovativa era proporzionata alla drammaticità della situazione sociale creatasi in Italia, come in altri Paesi, all'indomani della Prima guerra mondiale.
Fu nel 1920, nella IV Conferenza Interalleata, tenutasi a Bruxelles, che venne affrontato, su iniziativa della stessa delegazione italiana, il problema del collocamento dei mutilati ed invalidi della guerra. Si affermò, in quella sede, il principio dell'occupazione obbligatoria di tali soggetti da parte delle pubbliche amministrazioni e dei privati datori di lavoro. Riguardo le modalità di attuazione da seguire in concreto, si decise di lasciare libera scelta ai singoli paesi, dovendo ciascuno di essi far ri-ferimento a differenti condizioni del mercato del lavoro ed a peculiari situazioni economico-sociali.
Per esempio paesi come U.S.A. ed Inghilterra che, in quegli anni, conoscevano una situazione d'equilibrio fra domanda ed offerta di lavoro (se non di eccesso dell'offerta di lavoro), poterono semplicemente prevedere forme di riabilitazione generica o specifica dei minorati e così assicurare loro una sostanziale pari opportunità nel concorso con soggetti, aventi invece piena capacità lavorativa.
In altri paesi al contrario, la situazione di forte disoccupazione, rendeva tali tipi di interventi non idonei ad assicurare, anche per i soggetti deboli, la partecipazione ai processi di produzione richiedendo, invece, una soluzione di carattere autoritativo (come il collocamento obbligatorio): l'introduzione cioè nei rapporti di lavoro, di una diseguaglianza formale, di un vero e proprio privilegio.
Questo sistema coattivo fu varato, fra l'altro, oltre che in Italia, anche in Francia ed in Germania, dove, per di piu', si optò per una coazione "forte" che dava allo Stato stesso la possibilità di inserire l'invalido nel personale dell'azienda del datore di lavoro inadempiente e di concludere d'imperio il contratto di lavoro. Adottando tale soluzione, in Germania si relativizzava quel principio di contrattualità, che il legislatore italiano, al contrario, continuò a considerare intangibile .
Come risulta dalla relazione alla Camera dei deputati nella seduta del 20 Giugno 1921 dell'On. Labriola, ministro proponente della legge n. 1321 , essa veniva varata in un periodo di grave disoccupazione. L'invalido, in balia delle leggi del mercato, non poteva ambire realisticamente ad un occupazione se essa stessa risultava poi lontana dalle possibilità di coloro che erano pur dotati di piena capacità lavorativa. All'esigenza di favorire l'accesso al lavoro di soggetti scarsamente richiesti dai datori di lavoro, si aggiungevano poi motivi peculiari al momento storico nel quale la legge veniva concepita. Era infatti decisivo il debito dello stato verso questi invalidi, così che si avvertiva l'esigenza di far seguire, al sentimento di gratitudine per il sacrificio offerto ed alla solidarietà per le difficoltà dell'infermità, fatti tangibili ed assunzione di oneri. D'altronde, si affermava nella relazione, era nell'interesse della stessa economia nazionale che venissero potenziate e valorizzate quelle forze lavorative che altrimenti sarebbero rimaste inutilizzate. Sempre l' On. Labriola sottolineava come gli interessi di tali soggetti non potessero essere piu' tutelati mediante la previsione delle sole attività di rieducazione, che per forza di cose sareb-bero rimaste di utilità meramente teorica e fosse, quindi, richiesta l'effettiva, autoritativa, introduzione degli invalidi di guerra nel meccanismo della produzione (introduzione coattiva che, tutto sommato, costituiva essa stessa la migliore scuola ed il miglior esercizio per la rieducazione).
Si realizzò così in Italia, in quegli anni, un sistema di assunzioni obbligatorie limitato ai militi invalidatisi nel corso degli eventi bellici, ma, una volta introdotto, il principio dell'assistenza per le vie del collocamento coattivo era destinato a trovare applicazione nei confronti di sempre piu' larghe schiere di soggetti.
Tale tendenza a ricoprire piu' situazioni possibili è del tutto coerente con l'ampiezza del raggio d'azione della legislazione sociale e del concetto giuridico di funzione di sicurezza sociale, così come riconosciuta al 1° comma dell'art. 38 della Costituzione, secondo il quale ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento ed all'assistenza sociale .
L'ampliamento della sfera dei beneficiari del collocamento obbligatorio iniziò subito dopo la seconda guerra mondiale, allorché vennero emanati provvedimenti in favore degli invalidi del lavoro, dei reduci, profughi ecc. .
I principi di solidarietà proclamati dalla Costituzione e la crescita economica incentivarono la volontà diffusa nella coscienza sociale di rendere partecipi della vita produttiva del Paese i soggetti piu' sfortunati; anche le associazioni di categoria ottenevano un maggior ascolto nei palazzi della politica.
La legislazione sulle assunzioni obbligatorie conobbe quindi una progressiva estensione della sfera dei suoi beneficiari. Tale tendenza era sicuramente apprezzabile dati i motivi umanitari che la giustificavano se non fosse che spesso ad essa si accompagnò un'insufficiente attenzione da parte del legislatore alle differenze fra le varie situazioni e condizioni dei soggetti protetti ed una semplicistica sopravvalutazione della reale capacità da parte delle aziende di adempiere agli obblighi .
La maggior parte delle normative che esamineremo si modellavano, quale piu' quale meno, al sistema scelto dal legislatore con la prima legge in materia, la n. 1312 del 1921 a favore degli invalidi e mutilati di guerra.
Il modello di "assistenza" della L. n. 1312/1921 non aveva precedenti ma la sua notevole carica innovativa era proporzionata alla drammaticità della situazione sociale creatasi in Italia, come in altri Paesi, all'indomani della Prima guerra mondiale.
Fu nel 1920, nella IV Conferenza Interalleata, tenutasi a Bruxelles, che venne affrontato, su iniziativa della stessa delegazione italiana, il problema del collocamento dei mutilati ed invalidi della guerra. Si affermò, in quella sede, il principio dell'occupazione obbligatoria di tali soggetti da parte delle pubbliche amministrazioni e dei privati datori di lavoro. Riguardo le modalità di attuazione da seguire in concreto, si decise di lasciare libera scelta ai singoli paesi, dovendo ciascuno di essi far ri-ferimento a differenti condizioni del mercato del lavoro ed a peculiari situazioni economico-sociali.
Per esempio paesi come U.S.A. ed Inghilterra che, in quegli anni, conoscevano una situazione d'equilibrio fra domanda ed offerta di lavoro (se non di eccesso dell'offerta di lavoro), poterono semplicemente prevedere forme di riabilitazione generica o specifica dei minorati e così assicurare loro una sostanziale pari opportunità nel concorso con soggetti, aventi invece piena capacità lavorativa.
In altri paesi al contrario, la situazione di forte disoccupazione, rendeva tali tipi di interventi non idonei ad assicurare, anche per i soggetti deboli, la partecipazione ai processi di produzione richiedendo, invece, una soluzione di carattere autoritativo (come il collocamento obbligatorio): l'introduzione cioè nei rapporti di lavoro, di una diseguaglianza formale, di un vero e proprio privilegio.
Questo sistema coattivo fu varato, fra l'altro, oltre che in Italia, anche in Francia ed in Germania, dove, per di piu', si optò per una coazione "forte" che dava allo Stato stesso la possibilità di inserire l'invalido nel personale dell'azienda del datore di lavoro inadempiente e di concludere d'imperio il contratto di lavoro. Adottando tale soluzione, in Germania si relativizzava quel principio di contrattualità, che il legislatore italiano, al contrario, continuò a considerare intangibile .
Come risulta dalla relazione alla Camera dei deputati nella seduta del 20 Giugno 1921 dell'On. Labriola, ministro proponente della legge n. 1321 , essa veniva varata in un periodo di grave disoccupazione. L'invalido, in balia delle leggi del mercato, non poteva ambire realisticamente ad un occupazione se essa stessa risultava poi lontana dalle possibilità di coloro che erano pur dotati di piena capacità lavorativa. All'esigenza di favorire l'accesso al lavoro di soggetti scarsamente richiesti dai datori di lavoro, si aggiungevano poi motivi peculiari al momento storico nel quale la legge veniva concepita. Era infatti decisivo il debito dello stato verso questi invalidi, così che si avvertiva l'esigenza di far seguire, al sentimento di gratitudine per il sacrificio offerto ed alla solidarietà per le difficoltà dell'infermità, fatti tangibili ed assunzione di oneri. D'altronde, si affermava nella relazione, era nell'interesse della stessa economia nazionale che venissero potenziate e valorizzate quelle forze lavorative che altrimenti sarebbero rimaste inutilizzate. Sempre l' On. Labriola sottolineava come gli interessi di tali soggetti non potessero essere piu' tutelati mediante la previsione delle sole attività di rieducazione, che per forza di cose sareb-bero rimaste di utilità meramente teorica e fosse, quindi, richiesta l'effettiva, autoritativa, introduzione degli invalidi di guerra nel meccanismo della produzione (introduzione coattiva che, tutto sommato, costituiva essa stessa la migliore scuola ed il miglior esercizio per la rieducazione).
Si realizzò così in Italia, in quegli anni, un sistema di assunzioni obbligatorie limitato ai militi invalidatisi nel corso degli eventi bellici, ma, una volta introdotto, il principio dell'assistenza per le vie del collocamento coattivo era destinato a trovare applicazione nei confronti di sempre piu' larghe schiere di soggetti.
Tale tendenza a ricoprire piu' situazioni possibili è del tutto coerente con l'ampiezza del raggio d'azione della legislazione sociale e del concetto giuridico di funzione di sicurezza sociale, così come riconosciuta al 1° comma dell'art. 38 della Costituzione, secondo il quale ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento ed all'assistenza sociale .
L'ampliamento della sfera dei beneficiari del collocamento obbligatorio iniziò subito dopo la seconda guerra mondiale, allorché vennero emanati provvedimenti in favore degli invalidi del lavoro, dei reduci, profughi ecc. .
I principi di solidarietà proclamati dalla Costituzione e la crescita economica incentivarono la volontà diffusa nella coscienza sociale di rendere partecipi della vita produttiva del Paese i soggetti piu' sfortunati; anche le associazioni di categoria ottenevano un maggior ascolto nei palazzi della politica.
La legislazione sulle assunzioni obbligatorie conobbe quindi una progressiva estensione della sfera dei suoi beneficiari. Tale tendenza era sicuramente apprezzabile dati i motivi umanitari che la giustificavano se non fosse che spesso ad essa si accompagnò un'insufficiente attenzione da parte del legislatore alle differenze fra le varie situazioni e condizioni dei soggetti protetti ed una semplicistica sopravvalutazione della reale capacità da parte delle aziende di adempiere agli obblighi .