Relazione del Presidente Avv. Sergio D'Andrea

Relazione del Presidente Avv. Sergio D'Andrea

Dal sito dell'Associazione Forense di Diritto del Lavoro e della Previdenza sociale di Napoli
Convegno / Dibattito del 17.6.2013

Relazione dell' Avv. Sergio D'Andrea
Presidente Associazione Forense di Diritto del Lavoro e della Previdenza sociale di Napoli

Prima di entrare nel vivo dell’argomento da trattare intendo fare due premesse :

1) che in tutto questo periodo di “ collaudo” dell’ ATP, ho potuto notare che si è generata una gran confusione di idee in tutti noi operatori della materia e, soprattutto, che, laddove la normativa in oggetto risulta in qualche modo carente o lacunosa si è dato luogo ad una gamma infinita di interpretazioni, a volte tra loro contrastanti, quasi che questa norma sia ogni giorno “ reinventata” il che certamente non giova al corretto procedimento giudiziario in esame.
2) che, come sempre, l’intento di questo convegno è appunto quello di tentare di mettere un poco di ordine nella materia così come innovata, con l’ausilio di tutti gli operatori dal cui confronto possa scaturire una auspicabile maggiore omogeneità di intenti nella applicazione della legge, almeno fino a quando non si riuscirà, come è nei nostri intendimenti, ad ottenere l’abrogazione del 445 bis ovvero una sostanziale modifica nei maggiori elementi di difficoltà, coma da noi già prospettato più volte nelle sedi opportune.
Fino ad ora, anche con riferimento al precedente convegno del 30.11.2012, abbiamo monitorato la fase per così dire preliminare dell’ATP, quella cioè esclusivamente relativa alla struttura del ricorso, ai termini per il deposito del ricorso giudiziario, all’accertamento dei requisiti preliminare per l’ammissibilità dello stesso, all’esame delle eventuali preclusioni, alle modalità di affidamento dell’incarico al CTU, ai tempi di espletamento della ctu, alle disposizioni in ordine all’acquisizione di ulteriore documentazione sanitaria e alla necessità di chiedere accertamenti di laboratorio utili alle indagini peritali, alla fase delle controdeduzioni  alla bozza della ctu, alla dichiarazione di dissenso.

In proposito sarebbe utile riformulare ulteriori considerazioni su alcuni di questi aspetti elencati.
E’ per taluni ancora controversa la individuazione del sufficiente decorso del termine dall’epoca di inoltro della domanda amministrativa, ai fini del corretto, legittimo e rituale deposito del ricorso introduttivo innanzi il Tribunale  per iniziare l’azione giudiziaria.
La normativa innovativa in vigore dal 01.01.2010 ( anche attraverso le disposizioni impartite dall’Istituto medesimo)  ha chiaramente stabilito che la fase amministrativa deve concludersi nel termine massimo di 4 mesi o addirittura, nelle ulteriori disposizione dell’INPS, entro il termine di 90 giorni, decorso il quale risulta ammissibile il ricorso alla A.G.
Seguendo, poi, la tesi sostenuta da alcuni eminenti giuristi, si fa osservare che anche quando il ricorso giudiziario venisse presentato prima della scadenza di diversi termini ipotizzati in virtù di altre interpretazioni ( 180 o addirittura 270 giorni), ben può procedere legittimamente il ricorso giudiziario a meno che non intervenga la prova da parte dell’Istituto resistente di un avvenuto riconoscimento in sede amministrativa, nelle more del giudizio, che porterebbe semplicemente alla declaratoria di cessata materia del contendere.   
Prendiamo in considerazione poi i termini di trasmissione della bozza di ctu e del deposito della relazione definitiva; è chiaro che il Giudice nel conferire l’incarico al CTU fissa dei termini per la trasmissione della bozza ai difensori, per la trasmissione delle controdeduzioni dei difensori, per il deposito della relazione definitiva in cancelleria, per la dichiarazione di dissenso e per la iscrizione al ruolo del giudizio di merito, adempimenti che vanno effettuati esclusivamente per via telematica solo attraverso la PEC nei rapporti tra difensori, cancelleria e consulenti.
Il D.L. 179/12 convertito nella legge n. 121/12 all’art. 16 dispone che le notifiche siano effettuate esclusivamente per via telematica attraverso la posta elettronica certificata ( PEC) con l’obbligo per tutti di munirsi di PEC.
Questi termini imposti dal Giudice, a nostro giudizio, vanno rispettati non solo perché li ha ordinati il Giudice ma anche perché senza di essi si concederebbe una libertà illimitata al CTU di completare la propria indagine a suo piacimento.
E’ il caso di riportare pedissequamente l’art. 195 c.p.c. ( così come  modificato dall’ art. 46 della legge 69/09 con decorrenza 04.07.2009) espressamente richiamato dall’art. 445 bis c.p.c. che testualmente si rìtrascrive  “ delle indagini del consulente si forma processo verbale quando sono compiute con l’intervento del Giudice ma questi può anche disporre che il consulente rediga relazione scritta. Se le indagini sono compiute senza l’intervento del Giudice il CTU deve farne relazione scritta nulla quale inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti ( art. 194 c.p.c. e 62 disp. att. c.p.c.) la relazione deve essere trasmessa dal CTU alle parti costituite nel termine stabilito dal Giudice con ordinanza resa all’udienza di cui  all’art. 193 c.p.c. ( all’atto del conferimento dell’incarico previa prestazione di giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere al giudice la verità) con la medesima ordinanza il Giudice fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al CTU le proprie osservazioni; qui mi corre l’obbligo di specificare che il termine usato dal legislatore “ devono” non significa che le parti sono obbligate a trasmettere sempre al CTU le loro controdeduzioni, che restano ovviamente facoltative, ma significa che le parti, se intendono trasmettere le loro osservazioni devono farlo nel termine fissato dal Giudice e non  oltre ( entro 20 gg. dalla ricezione della bozza).            
Art. 196 c.p.c. “ Il Giudice ha sempre la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini peritali e , per gravi motivi, la sostituzione del CTU medesimo”.

Dalla rilettura di tali articoli del codice di procedura, richiamati espressamente dall’art. 445 bis c.p.c., discendono due considerazioni:

1) i termini dettati dal Giudice vanno rispettati;
2) ci dobbiamo chiedere anche quali sono le conseguenze della inosservanza degli stessi

A) a nostro giudizio il mancato rispetto dei termini imposti dal Giudice al CTU potrebbe determinare la nullità dell’intera indagine peritale, al fine di evitare che il CTU possa determinare di completare l’indagine a suo arbitrio, facendo salvo il caso in cui si proponga, prima della scadenza dei termini e non dopo, istanza di proroga al Giudice per giustificati motivi, così come determinano la nullità dell’indagine peritale le omesse osservazioni sulle contestazioni dei difensori   nella stesura dell’elaborato peritale definitivo. Ovviamente la nullità va dichiarata dal Giudice su istanza della parte interessata.
B) per i difensori, poi, i termini concessi dal Giudice sono assolutamente perentori sia per quanto riguarda la dichiarazione di dissenso sia per quanto riguarda la successiva iscrizione a ruolo del ricorso ordinario, pena la decadenza dall’azione giudiziaria. E qui bisogna sottolineare l’aspetto eccessivamente restrittivo e, quindi, punitivo per l’esercizio del diritto di difesa in violazione degli artt. 24. e 111 Cost.
Altra considerazione è che, dall’esame dell’art. 195 c.p.c., emerge la disposizione che la relazione peritale va depositata prima della successiva udienza; il che significa che avendo l’art. 445 c.p.c. richiamato espressamente l’art. 195 c.p.c. non si può escludere la necessità e la opportunità di fissare un ulteriore udienza nel procedimento di ATP nella quale si va a definire il procedimento stesso ripristinando il diretto contatto tra Giudice e difensori e non attraverso CTU e cancelleria. In proposito invero ci vogliamo augurare che seguendo l’esempio di altri Tribunali ( Torre Annunziata, Santa Maria Capua Vetere ed Avellino, ad esempio), si possa addivenire al convincimento di fissare una nuova udienza già in prima comparizione, in luogo dei termini oggi concessi per il completamento dell’indagine peritale, con ciò facilitando il percorso conclusivo dell’ATP.
Ultima considerazione va fatta in ordine al problema della posizione per così dire del procedimento di ATP allorchè viene introdotto il processo di opposizione.
Noi riteniamo che l’intero fascicolo di ufficio, comprensivo anche delle produzioni di parte, debba essere riunito a quello del giudizio di opposizione, perché strettamente connesso al giudizio medesimo in quanto propedeutico ad esso e  risultando così anche non più pendente sul ruolo,.

Passiamo adesso ad esaminare più propriamente il tema in discussione.
L’omologa è un provvedimento giurisdizionale privo di efficacia esecutiva finalizzato a convalidare il parere tecnico formulato dall’ ausiliare del Giudice esclusivamente sullo stato sanitario di parte ricorrente cristallizzando lo stato invalidante stesso ai fini del successivo riconoscimento della relativa prestazione allorquando non vi siano contestazioni delle parti in causa..
A prescindere dalle anomalie di tale provvedimento reso a seguito di procedimento giudiziario che non contenga anche la condanna la pagamento delle prestazioni richieste ( di qui la rimessione del Tribunale di Roma alla Corte Costituzionale per tutti i profili di incostituzionalità, che la norma contiene oltre quella già citata, e  di cui meglio e più approfonditamente esporranno i relatori presenti) va osservato che, a nostro giudizio,  la formulazione dell’omologa  non deve contenere un giudizio ( positivo e negativo) sulle risultanze peritali in riferimento alle prestazioni richieste  ma deve limitarsi a riportare pedissequamente ed esclusivamente lo stato invalidante raffigurato dal CTU, perché tale è la natura giuridica che il legislatore ha inteso conferire alla omologa.
A nostro avviso sarebbe, comunque,  giusto ed opportuno, per una maggiore chiarezza del contenuto sostanziale del provvedimento, che il Giudice, nel corpo del decreto medesimo, prima della parte conclusiva (omologa) indicasse, nella parte espositiva, le prestazioni richieste nel ricorso introduttivo al fine di collegare il risultato delle indagini peritali alla prestazione di riferimento che dovrà poi essere liquidata dall’Istituto convenuto. 
          Tale omologa, non essendo un provvedimento decisorio e quindi non soggetto ad impugnazione alcuna, consente al ricorrente la possibilità di presentare immediatamente nuova domanda in sede amministrativa (se ne ricorrono, ovviamente, la volontà della parte, le condizioni e la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla normativa vigente), non operando più la preclusione di cui all’art. 56 della legge 69/09 specificamente prevista per le ipotesi di provvedimento decisorio  (sentenza).
          La omologa è per definizione normativa inoppugnabile ed immodificabile.
         

Ed allora ci dobbiamo porre alcuni quesiti di ordine pratico:
1)    se il provvedimento di omologa contiene errori materiali  o omissioni, esso è modificabile???
A nostro giudizio indubbiamente si, in quanto l’errore materiale determina semplicemente la CORREZIONE  e non la modifica del provvedimento stesso.
Il punto più delicato è laddove, diversamente dai casi tipici dell’errore materiale, si verifica un errore od omissione di natura sostanziale che incide sulla individuazione della esatta corrispondenza dello stato sanitario dedotto nella indagine peritale e la prestazione richiesta  (pensiamo ad es. al caso in cui il ricorrente abbia richiesto  l’accertamento delle condizioni sanitarie per ottenere il riconoscimento della pensione di inabilità unitamente alla indennità di accompagnamento e che la ctu abbia riconosciuto la sussistenza sia della totale inabilità che della necessità di assistenza continua; ed ipotizziamo che il Giudice, per mera distrazione, abbia riportato nel decreto di omologa solo le condizioni di assistenza continua trascurando la totale inabilità); a questo punto noi riteniamo che il Giudice debba procedere alla correzione dell’errore od omissione  per la semplice considerazione che, in ogni caso, l’omissione è in contrasto con la condivisione da parte del Giudice delle risultanze peritali espressa nella parte espositiva e che, in mancanza di correzione, poichè la norma non prevede strumenti di impugnazione, l’omologa errata sarebbe improduttiva di effetti giuridici, con enorme pregiudizio per la parte. Questa rimarrebbe senza tutela giurisdizionale stante il divieto di appellabilità, di reclamo e di opposizione e sarebbe costretta addirittura  a dover  riproporre nuova domanda in sede amministrativa. Al cittadino verrebbe inesorabilmente negata quella prestazione pur dovutagli.
A nostro giudizio quindi, il buon senso ed il buon governo della giustizia dovranno orientare il Giudice ad assumere iniziative che non siano dannose per il cittadino e ricorrere agli opportuni rimedi per accedere alla correzione dell’omologa quando è palesemente errata, anche per motivi sostanziali e non solo formali.
L’omologa, se afferma uno stato invalidante idoneo per la eventuale attribuzione della relativa prestazione, va notificata all’INPS affinchè lo stesso, nel termine di 120 giorni dalla notifica, provveda al pagamento della prestazione medesima, previo accertamento della sussistenza dei requisiti socio-reddituali previsti dalla legge per la erogazione della prestazione.
A nostro giudizio l’accertamento della sussistenza dei requisiti socio-reddituali va posta a carico dell’Istituto sia perché lo prevede espressamente la norma in termini non equivocabili, sia perché la prova documentale della sussistenza di tali requisiti è stata già fornita dal ricorrente nel procedimento di ATP, sia, infine, perché l’INPS è dotato di un sistema informatico in grado di conoscere compiutamente la posizione di qualsiasi ricorrente.
L’eventualità di allegare all’omologa in sede di notifica le dichiarazione di cui al modello AP 70 predisposto dall’INPS, resta una pura facoltà della parte ricorrente senza alcun obbligo normativo.
L’omologa ( positiva per il ricorrente) va notificata alla sede legale ed a quella Provinciale?
Noi riteniamo che debba essere notificata solo alla sede provinciale in quanto è finalizzata esclusivamente al pagamento della prestazione che va erogata ovviamente dalla sede provinciale e non dalla sede legale; non va notificata né al funzionario, né al legale costituito per l’Istituto in quanto  viene meno l’interesse al decorso dei termini brevi per  il passaggio in giudicato.
Nell’omologa in cui si dichiara uno stato invalidante favorevole al ricorrente in relazione alle richieste formulate in ricorso, il Giudice provvede anche alla liquidazione delle spese in favore del procuratore anticipatario ( sulla disciplina delle spese giudiziali vi riferiranno compiutamente altri relatori ). In proposito  va osservato che sotto questo aspetto il provvedimento acquista efficacia esecutiva e, pertanto, sia per quanto riguarda il rilascio copie, sia per quanto riguarda la notifica, va disciplinato, per via analogica con le stesse regole e modalità della sentenza; vanno, infatti, rilasciate copie esecutive al difensore attributario e l’omologa va notificata sia alla sede legale sia a quella provinciale per affrontare l’eventuale fase esecutiva, giusta orientamento recente della Corte di Cassazione sulla notifica anche alla sede legale). Non va trascurato che l’omologa deve rigorosamente contenere l’indicazione del difensore e la specifica condanna al pagamento delle spese liquidate.
Resta in proposito sempre applicabile la norma di cui al DL n. 98 del 06.07.2011 che prevede la preventiva comunicazione all’INPS a mezzo posta certificata o a mezzo posta raccomandata dei dati relativi al titolo esecutivo in riferimento al quale si chiede il pagamento degli onorari comunicando le coordinate bancarie per la riscossione. Permane in proposito il dualismo interpretativo circa la legittimità di notificare il titolo esecutivo con pedissequo precetto (e quindi iniziare la fase esecutiva) appena dopo il decorso dei 120 giorni dalla comunicazione di cui sopra, ovvero limitarsi a notificare semplicemente il titolo esecutivo per poi successivamente procedere, dopo il decorso di ulteriori 120 giorni dalla detta notifica, alla fase esecutiva.
Abbiamo constatato che l’orientamento della nostra sezione di esecuzione mobiliare non è attestato su una posizione omogenea.
Ma noi sosteniamo che, dopo la richiesta del pagamento degli onorari fatta attraverso comunicazione telematica o per raccomandata, si sia legittimati ad agire per via esecutiva; è sufficiente, a sostegno di tal tesi, rileggere con attenzione la lettera C del rinnovato art. 445 bis c.p.c. che nella parte finale così sancisce: “ non può procedere alla notificazione del titolo esecutivo ed alla promozione di azione esecutive per il recupero delle medesime somme se non decorsi 120 gg. dal ricevimento di tale comunicazione”. Se il legislatore avesse voluto distinguere cronologicamente le due fasi ( notifica della sentenza e azione esecutiva) certamente non avrebbe usato la congiunzione per le due azioni ma avrebbe specificamente disciplinato l’azione esecutiva dopo gli ulteriori 120 gg. dalla notifica del titolo. 
Cosa avviene se l’INPS, ricevuta la notifica dell’omologa “positiva”, nei 120 giorni concessi dalla Legge, non provvede al pagamento?
A nostro giudizio il ricorrente deve proporre azione giudiziaria (sia esso con procedimento monitorio ovvero con procedimento ordinario) per ottenere dal Giudice la condanna al pagamento della prestazione relativa alle condizioni sanitarie accertate con l’omologa, magari dando ancora una volta prova documentale, se necessario, sulla sussistenza dei requisiti socio-reddituali.
Il provvedimento giurisdizionale che scaturisce da tale azione giudiziaria (decreto ingiuntivo o sentenza) ha senza dubbio efficacia esecutiva e, diversamente da quanto si ritiene per le sentenze del giudizio di merito in opposizione all’ATP (di cui più avanti parleremo più approfonditamente), è appellabile.
Nel caso di omologa cd. “negativa” il soggetto che ne è destinatario è facultato a presentare anche immediatamente nuova domanda amministrativa in quanto la stessa non è più soggetta alle preclusioni di cui all’art.56 della Legge 69/09; l’omologa, infatti, non è provvedimento decisorio e non è soggetto per definizione ad impugnazioni.
Altro aspetto non trascurabile è quello relativo all’obbligo di comunicazione ai difensori delle dichiarazioni di dissenso e della iscrizione a ruolo del successivo giudizio di merito e non mi riferisco alla comunicazione della cancelleria circa la concessione dei 30 gg per il deposito del dissenso, ma più specificamente alla opportunità che i difensori siano messi a conoscenza dell’avvenuto deposito della dichiarazione di dissenso e della successiva avvenuta iscrizione a ruolo del giudizio di merito per la semplice considerazione che, in mancanza, si resterebbe in uno stato di incertezza sulle sorti della definizione del procedimento di ATP fino alla notifica del ricorso ( 30 gg. prima dell’udienza, udienza che può essere fissata  anche a lungo termine, come spesso accade).
Tutto ciò nell’ottica della prossima trasformazione del processo giudiziario in processo telematico.
Veniamo adesso al giudizio di merito instaurando dopo la dichiarazione di dissenso.
Il primo problema da affrontare ed esaminare è quello relativo alla natura di tale giudizio nel senso che tale processo può essere considerato solo un prosieguo del procedimento di ATP avente ad oggetto solo ed esclusivamente l’esame dei requisito sanitario o può essere considerato, anche se come prosieguo dell’ATP, esteso anche all’accertamento dei requisiti socio-reddituali in modo da modularsi e concludersi anche per la condanna dell’INPS al pagamento della prestazione.
Gli orientamenti non sono univoci.
A favore della prima interpretazione gioverebbe una analisi stretta e rigorosa della norma che nulla specificamente dice a proposito della estensione all’esame dei requisiti socio-reddituali.
E non solo ma anche considerando che la norma, per il giudizio di opposizione all’ATP, si limita a prescrivere soltanto l’allegazione di specifici motivi di contestazione della consulenza tecnica ed  anche per la inappellabilità della sentenza conclusiva di opposizione all’ATP che riguarderebbe solo gli aspetti sanitari; questo confermerebbe la tesi che, prevedendosi la inappellabilità di tale sentenza, il giudizio di opposizione, parimenti al procedimento di ATP, sarebbe relativo solo ed unicamente al requisito sanitario.
A sostegno della seconda tesi soccorre, invece, un criterio pratico, di economia di giudizio in quanto, limitandosi anche la ulteriore fase giudiziaria del giudizio di opposizione solo al petitum sanitario,  si darebbe inevitabilmente origine ad un ulteriore successivo procedimento giudiziario di vero e proprio merito per l’accertamento globale sulla sussistenza dei requisiti sia sanitari che socio-reddituali.        
Alcuni  autorevoli giuristi sostengono che anche l’interpretazione letterale della norma suffragherebbe la tesi del “giudizio a cognizione piena” in quanto il primo comma dell’art. 445 bis contempla l’ipotesi di “ chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri  diritti ( e non di chi intenda ottenere il mero accertamento di uno stato di fatto) utilizza la precisa locuzione “ ricorso introduttivo del giudizio “ che non può che essere che quello evocato al primo comma  ed anche in  ossequio al maggioritario filone giurisprudenziale che nega la sussistenza di un valido interesse ad agire qualora si richieda una pronuncia di mero accertamento in materia assistenziale e previdenziale.
Il problema non è di facile soluzione perché entrambi le tesi sono sostenibili per le apprezzabili motivazioni che si possono porre alla base delle argomentazioni.
Noi riteniamo di condividere la tesi del giudizio a “cognizione piena” in ossequio al principio di economia del processo, in quanto la opposta interpretazione della norma porterebbe  inevitabilmente alla instaurazione di un ulteriore processo di cognizione ( e sarebbe il terzo!!!)  per accertare anche la sussistenza dei requisiti socio-reddituali e pervenire alla definizione della controversia. E noi riteniamo primaria l’esigenza di concludere le controversie in tempi brevi. 
La condivisione da parte nostra di questa tesi, che sostanzialmente mira alla economicità del processo, sta a dimostrare che l’attività dell’Avvocatura, in ordine alle iniziative processuali, è rigorosamente limitata all’essenzialità, contrariamente a quanto in altre sedi sostenuto con una non molto velata accusa di “ abuso del processo” rivolta all’avvocatura nel campo previdenziale e su cui ci riserviamo di rispondere approfonditamente in un futuro evento sull’argomento.
Va, infine, osservato che la sentenza che definisce il giudizio di opposizione va distinta per la parte che concerne l’aspetto sanitario e per i capi afferenti gli aspetti socio-reddituali, con la conseguenza che la sentenza stessa resta  “purtroppo” inappellabile, come prescrive la norma innovativa, sugli aspetti sanitari mentre è ragionevole che sia, invece, appellabile per tutti gli aspetti afferenti i requisiti socio-reddituali, secondo l’opinione di esperti giuristi che si sono pronunciati sulla questione.
Altro problema spinoso riguarda l’assegnazione al Giudice del giudizio di opposizione all’ATP. Il Tribunale di Napoli è orientato ad assegnare il ricorso di opposizione allo stesso Giudice cui è stato assegnato il procedimento di ATP per due motivi: 1) per il rispetto delle tabelle; 2) seguendo la tesi che il Giudice nel procedimento di ATP in sostanza procederebbe solo ad una ratifica delle risultanze peritali senza entrare in merito delle stesse per cui ci sarebbe una diversa posizione del medesimo giudice nelle due diverse fasi giudiziarie.
Noi siamo del parere che, invece, il ricorso per il giudizio di merito a seguito di ATP vada assegnato ad altro Giudice per due motivi: 1) l’osservanza delle tabelle predisposte dalla Presidenza del Tribunale è da considerare valida per il processo di vecchio rito ma non più per un processo innovativo come quello dell’ATP  che va  a configurarsi al di fuori di ogni schema precedente ( si pensi alla obbligatorietà dell’ATP) e in special modo per la considerazione che, nella previsione del rinnovato art. 445, è stato soppresso l’appello alla sentenza che definisce il giudizio di merito per cui in pratica, anche se non in termini codicistici, il Giudice, nel giudizio di opposizione, assumerebbe di fatto il ruolo di “ GIUDICE DI APPELLO” e quindi necessariamente deve essere un Giudice diverso da quello precedente.

2) La tesi che il giudice dell’ATP opera solo una “ distaccata” ratifica dell’operato del consulente tecnico senza alcuna valutazione su di essa, ci sembra palesemente in contrasto con la facoltà concessa al Giudice prevista dall’art. 196 c.p.c. laddove si contempla la facoltà del Giudice di disporre la rinnovazione della indagine peritale ovvero la sostituzione del CTU; ci chiediamo come possa esercitare il Giudice tale facoltà se non accedendo ad una valutazione dell’elaborato peritale; e se il Giudice deve andare ad esaminare e valutare la consulenza del CTU nominato nell’ATP, come è possibile conciliare l’idea di affidare allo stesso Giudice dell’ATP anche il processo ordinario conseguente all’ATP.  Per un motivo di legittima incompatibilità, noi riaffermiamo la nostra posizione di contestazione all’affidamento del giudizio ordinario allo stesso Giudice del procedimento di ATP, dovendosi e potendo anche modificare le disposizioni tabellari, tenuto conto che la materia in questione è certamente innovativa e come tale necessiti di aggiustamenti e adattamenti alla diversa realtà processuale.          
Ancor più spinosa è la problematica relativa alla nomina del CTU nel giudizio di opposizione.
A nostro giudizio non è assolutamente condivisibile l’ipotesi di nominare nel giudizio di opposizione lo stesso consulente che ha espletato l’indagine peritale del procedimento di ATP.
Invero la nomina dello stesso consulente configura inequivocabilmente una situazione di innegabile dubbio sulla obiettività e sulla imparzialità dell’operato del CTU che andrebbe a riesaminare una situazione sanitaria su cui ha già espresso il suo parere tecnico COMPIUTAMENTE; una ripetuta consultazione del medesimo consulente non potrebbe ottenere ragionevolmente alcun significativo mutamento dell’opinione già manifestata; viceversa l’affidamento dell’indagine peritale nel giudizio di opposizione ad altro consulente diverso da quello precedente è certamente garanzia di maggiore obiettività perché viene espletata da un consulente  “terzo” che possa pronunciarsi come figura “ super partes” nella valutazione delle opposte posizioni sul piano sanitario attraverso una novella indagine peritale.
Prendiamo in particolare il giudizio di revoca, come da generale contestazione del Foro previdenziale sulla circostanza, laddove il consulente tecnico non ha osservato il dettato della Cassazione a SS. UU. ( sentenza n. 383 del 07.07.1999) omettendo di procedere all’analisi comparativa tra lo stato sanitario in base al quale fu concessa la revocata prestazione e lo stato sanitario accertato in sede di revisione  al fine esclusivo di individuare i presenti eventuali miglioramenti dello stato patologico dedotti dall’istituto in presenza soltanto dei quali si può giustificare la legittimità del provvedimento di revoca. Troppo spesso,infatti, i consulente tecnici si limitano ad esaminare lo stato sanitario attuale. In tal caso come potrebbe essere giustificata  la nomina dello stesso consulente dell’ATP che non ha condotto l’indagine secondo i criteri stabiliti dalla Cassazione ? Questi rimarrebbe ancorato alla stessa posizione assunta nel procedimento di ATP e la controversia non avrebbe una valida soluzione.
Che cosa succede se dopo la dichiarazione di dissenso non viene iscritto tempestivamente a ruolo ( nei 30 gg susseguenti) la causa di opposizione?  A nostro avviso il Giudice è obbligato ad emettere l’omologa non essendo produttivo di effetti giuridici una dichiarazione di dissenso non seguita, a completamento, dalla rituale iscrizione a ruolo del giudizio di merito; ovviamente anche la mancata proposizione della dichiarazione di dissenso comporta necessariamente l’emissione dell’omologa; ma noi aggiungiamo che anche quando vi sia stata dichiarazione di dissenso seguita dalla iscrizione a ruolo del ricorso di opposizione, la mancata notifica del ricorso di opposizione comporta la nullità delle precedenti attività poste in essere e quindi necessariamente l’obbligo del Giudice di emettere l’omologa.
Non sarebbe, infatti, ammissibile legittimare uno strumento di opposizione che bloccherebbe l’efficacia dell’omologa, per soli fini speculativi, con una semplice dichiarazione di dissenso non seguita dalla iscrizione a ruolo del ricorso e dalla successiva notifica nei termini di legge. Non va trascurata inoltre la tardività nella proposizione della tre fasi di opposizione che comporta ovviamente parimenti la inefficacia delle iniziative stesse. A nostro giudizio anche in tal caso il Giudice deve immediatamente provvedere ad emettere l’omologa dichiarando la tardività  del dissento o della iscrizione a ruolo di ufficio, ovvero della tardiva notificazione del ricorso, quest’ultima su apposita segnalazione del destinatario della stessa.
Esaminiamo adesso l’ipotesi in cui parte ricorrente vada a contestare parzialmente le risultanze peritali e vada a promuovere il giudizio di opposizione; facciamo l’esempio che il ricorrente abbia chiesto la cecità parziale e le condizioni di assistenza continua e che la consulenza abbia riconosciuto la sola cecità parziale. In tal caso il giudizio di opposizione si articolerà sulla richiesta di accertare soltanto le condizioni per il riconoscimento della assistenza continua per accedere alla indennità di accompagnamento fermo restando l’acquiescenza all’aspetto sanitario non contestato anche per il principio che non deve esservi una “ mutatio in pejus” nel giudizio di opposizione ed anche per il principio che nel giudizio di merito il Giudice deve esaminare solo le specifiche contestazioni, analogamente a come avviene nel giudizio di appello.
Lo stesso dicasi nel caso in cui nelle risultanze peritali la decorrenza dello stato invalidante è stata ancorata ad un’epoca successiva a quella della proposizione della domanda in sede amministrativa e parte ricorrente intenda ricorrere al giudice dell’opposizione per ottenere una migliore decorrenza; anche in tal coso riteniamo che le risultanze peritali dell’ATP abbiano acquiescenza e non costituiscono oggetto di riesame.
Vogliamo concludere invitando tutti gli operatori di questa materia ( magistrati, avvocati, consulenti medici, cancellieri) ad una fattiva collaborazione al fine di ottenere in primis l’abrogazione dell’art. 445 bis c.p.c. o quanto meno una sostanziale modifica dello stesso specie per quanto riguarda gli aspetti   maggiormente pregiudizievoli previsti dalla norma, quali ad esempio l’inappellabilità della sentenza, la non reclamabilità dei provvedimenti dell’ATP, il mancato riconoscimento di efficacia esecutiva al provvedimento di omologa, la esiguità del termine ( 30 gg.) per la proposizione del giudizio di opposizione.
Dobbiamo ritornare al passato, dobbiamo ritornare al processo previdenziale-assistenziale nella sua formulazione storica perché la norma innovativa, per unanime ammissione, ha portato solamente conseguenze sconvolgenti e pregiudizievoli in tutte le categorie operative.
Ma fino a quando non riusciremo ad ottenere l’auspicata abrogazione o l’auspicata modifica dobbiamo essere capaci di disciplinare tutti insieme, ognuno nel proprio ruolo, e ognuno con la propria capacità professionale, questa materia  previdenziale-assistenziale in un clima di efficiente e serena collaborazione, evitando conflitti improduttivi.  Ci dobbiamo ispirare ai principi di massima equità e di massima lealtà, ai principi di giustizia sostanziale nell’intento specifico di risolvere sul piano giudiziario i non trascurabili problemi della società disabile che attende affannosamente giustizia.
Dobbiamo affermare la tutela di chi veramente ha necessità di assistenza al di fuori del fenomeno dei “ falsi invalidi” che troppo spesso ha generato interpretazioni restrittive e provvedimenti sanzionatori. Dobbiamo tenerci lontano dalla tentazione di ispirarci a formalismi che possono frustrare lo scopo stesso del processo. Dobbiamo avere come unico obiettivo la decisione nel merito delle pretese avanzate dai cittadini, a tutela dei loro diritti.         

Avv.to Sergio d’Andrea