2. IL GIUDIZIO A COGNIZIONE PIENA. INTRODUZIONE DEL GIUDIZIO E CONTENUTO DEL RICORSO
«Nei casi di mancato accordo, la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione».
Da ciò logicamente deriva:
— che non sarà possibile limitarsi a contestare genericamente le risultanze dell’accertamento peritale: ciò risponde alla duplice esigenza di evitare sia che, nel caso di ricorso della parte privata, venga disposto in automatico un nuovo accertamento sanitario in realtà inutile (in quanto rivolto a verificare la condivisibilità di un accertamento non specificamente contestato), sia che, nel caso di ricorso dell’Inps, la parte privata che ha ottenuto un accertamento tecnico favorevole risulti in concreto danneggiata (quanto meno in relazione ai tempi di erogazione della prestazione) da finte opposizioni. Il ricorso che la parte presenta nel termine perentorio di trenta giorni dalla dichiarazione di contestazione dovrebbe essere concepito, in sostanza, come una sorta di atto di appello, imponendo la legge, a pena di inammissibilità, l’onere di specificare i motivi della contestazione (così come previsto, in quella sede, dall’art. 434 c.p.c.); non è sufficiente, quindi, semplicemente enunciare la patologie da cui è affetto il ricorrente, ma occorre esporre le ragioni per le quali si ritiene che la valutazione compiuta dal C.T.U. in sede di accertamento tecnico non sia corretta; in difetto, il giudizio terminerà con una sentenza in rito di inammissibilità;
— che la parte che non ha formulato contestazioni sulle risultanze dell’accertamento peritale non potrà formularne nel successivo giudizio di merito;
— che se entrambe le parti depositano tempestivamente la dichiarazione scritta di dissenso, ciascuna, ovviamente, avrà il termine perentorio di trenta giorni per intraprendere il giudizio di merito; i due procedimenti dovranno essere riuniti ex art. 273 c.p.c. e art. 151 disp. att. c.p.c., essendo attinenti alla stessa causa in quanto entrambe le parti, da posizioni contrapposte, chiedono l’accertamento sulla sussistenza o meno di uno stesso diritto;
— che la mancanza di contestazione (o, il che è equivalente, una contestazione tardiva) preclude la possibilità di proporre il successivo ricorso ordinario, non avendo la parte interessata altra via se non quella di proporre nuova domanda amministrativa;
— che se una parte dell’accertamento peritale non è contestata da nessuna delle parti, essa non sarà riformabile in peius all’esito del giudizio di merito: al riguardo, tuttavia, si ripropongono alcune delle differenze interpretative già riscontrate in tema di omologa parziale dell’accertamento peritale per la parte non contestata, dubitando taluni che l’affermazione in esame possa estendersi anche all’individuazione della sola decorrenza della prestazione e ritenendo che, in sostanza, la parte privata che abbia contestato l’accertamento (pur parzialmente favorevole) ottenuto all’esito del procedimento ex art. 445-bis c.p.c. si esponga in sostanza al rischio di non vedersi riconoscere alcunché all’esito di quello di merito; in senso contrario, si deve tuttavia evidenziare che tale interpretazione contraddirebbe sia la lettera (la quale, come già evidenziato, impone alla parte di specificare il contenuto delle proprie contestazioni) che la ratio della legge (chiaramente rivolta a devolvere al giudice del giudizio di merito soltanto le questioni oggetto di specifica contestazione): di conseguenza, se la parte privata non contesta di essere oggi nelle condizioni sanitarie accertate dal C.T.U. ma soltanto che tali condizioni non sussistessero già da epoca precedente, devolve al giudice del giudizio di merito soltanto la cognizione su tale ultimo aspetto e si mette al riparo da una eventuale reformatio in peius.
— che invece, se la parte che ha contestato l’esito dell’A.T.P. non iscrive a ruolo nei termini la causa di merito, la contestazione dovrà ritenersi mai apposta (come se fosse sottoposta alla condizione risolutiva della successiva presentazione del ricorso) e il giudice omologherà l’accertamento: se così non fosse, infatti, nell’ipotesi in esame la parte privata che avesse ottenuto un accertamento tecnico favorevole sarebbe costretta ad introdurre comunque il giudizio di merito per ottenere in quella sede l’affermazione dell’incontrovertibilità dell’accertamento stesso e la condanna dell’ente, in presenza degli altri requisiti eventualmente previsti dalla legge, al pagamento della prestazione. A tale ultimo riguardo, ci si chiede però giustamente come faccia il giudice a sapere che nel termine sopra indicato non vi sia stata la presentazione del ricorso di merito: sul punto, nel silenzio del legislatore ed anche alfine di evitare faticose ricerche da parte delle Cancellerie (complicate dal fatto che la causa di merito potrebbe iniziarla una o l’altra parte), appare ragionevole richiedere che sia la parte interessata a dover presentare istanza di omologazione dell’A.T.P. (opposto dalla controparte senza la successiva proposizione del giudizio di merito), magari corredata da apposita attestazione della Cancelleria a conferma di tale affermazione: di fronte a tale istanza, il giudice potrebbe sia emettere subito il decreto di omologazione sia, ove lo ritenesse per quale ragione necessario, richiedere la previa instaurazione del contraddittorio delle parti sul punto (con fissazione di apposita udienza). Se tuttavia, nel frattempo, una delle parti avesse comunque introdotto (seppur tardivamente) il giudizio di merito, si ritiene più corretto non procedere all’omologazione dell’A.T.P. e demandare al giudizio di merito ormai pendente ogni valutazione (ivi compresa quella relativa alle conseguenze della tardiva formalizzazione delle contestazioni o della tardiva introduzione del giudizio di merito stesso);
— che, trattandosi di giudizio ordinario, non vi sono ragioni per affermare che oggetto dello stesso sia il solo accertamento del requisito sanitario: anzi, dalla formulazione letterale dell’art. 445-bis c.p.c. sembrano potersi ricavare elementi in senso contrario, facendo riferimento il primo comma alla proposizione di domanda giudiziale per far valere un diritto — e non dunque per l’accertamento di un mero stato di fatto («... chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti...»)
—ed il sesto comma al «ricorso introduttivo del giudizio», che non può non essere quello che lo stesso aveva intenzione di proporre (ai sensi del citato primo comma). Di conseguenza, anche in conformità con la costante affermazione della S.C. circa l’insussistenza di un interesse ad agire per ottenere una pronuncia di mero accertamento in materia assistenziale e previdenziale, la domanda dovrà essere articolata compiutamente come finora avvenuto con i ricorsi ex art. 414 c.p.c., dovendo contenere sia la domanda di accertamento del diritto che quella di condanna al pagamento della relativa prestazione (eccezion fatta per le domande in cui l’accertamento del diritto esaurisce il contenuto della domanda stessa, come nel caso dell’accertamento dello status di portatore di handicap grave ex art. 3 comma 3 l. 5 febbraio 1992, n. 104), non essendovi alcuna previsione di legge, analoga a quella relativa alla fase posteriore all’omologazione, che preveda una procedura automatica di erogazione della prestazione entro il termine di 120 giorni dalla sentenza
;
— che infine la dichiarazione sul valore della causa (prevista a pena di inammissibilità dal riformato art. 152 disp. att. c.p.c.) dovrà essere effettuata «nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali» al solo fine di consentire l’applicazione, da parte del giudice, dell’ultima parte della norma stessa (introdotta dall’art. 52 comma 6 l. n. 69 del 2009, con decorrenza 4 luglio 2009 ed applicabile ai soli giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore), secondo la quale «le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio».
Art. 445-bis. 1
(Accertamento tecnico preventivo obbligatorio)
I. Nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente ai sensi dell'articolo 442 codice di procedura civile, presso il Tribunale nel cui circondario risiede l'attore, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. Il giudice procede a norma dell'articolo 696 - bis codice di procedura civile, in quanto compatibile nonché secondo le previsioni inerenti all'accertamento peritale di cui all'articolo 10, comma 6-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e all'articolo 195.
II. L'espletamento dell'accertamento tecnico preventivo costituisce condizione di procedibilità della domanda di cui al primo comma. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che l'accertamento tecnico preventivo non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dell'istanza di accertamento tecnico ovvero di completamento dello stesso.
III. La richiesta di espletamento dell'accertamento tecnico interrompe la prescrizione.
IV. giudice, terminate le operazioni di consulenza, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell'ufficio.
V. In assenza di contestazione, il giudice, se non procede ai sensi dell'articolo 196, con decreto pronunciato fuori udienza entro trenta giorni dalla scadenza del termine previsto dal comma precedente omologa l'accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell'ufficio provvedendo sulle spese. Il decreto, non impugnabile nè modificabile, è notificato agli enti competenti, che provvedono, subordinatamente alla verifica di tutti gli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
VI. Nei casi di mancato accordo la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell'ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
VII. La sentenza che definisce il giudizio previsto dal comma precedente è inappellabile.2
Art. 125 c.p.c
(Contenuto e sottoscrizione degli atti di parte)
Salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l'ufficio giudiziario, le parti, l'oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o la istanza, e, tanto nell'originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore.
La procura al difensore dell'attore puo' essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purche' anteriormente alla costituzione della parte rappresentata.
La disposizione del comma precedente non si applica quando la legge richiede che la citazione sia sottoscritta dal difensore munito di mandato speciale.
" III. La relazione deve essere trasmessa dal consulente alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice con ordinanza resa all'udienza di cui all'articolo 193. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse."
Tale richiamo degli autori all'art. 196 c.p.c. è di non poco conto, atteso che il testo dell'articolo è il seguente:
"6-bis. Nei procedimenti giurisdizionali civili relativi a prestazioni sanitarie previdenziali ed assistenziali, nel caso in cui il giudice nomini un consulente tecnico d'ufficio, alle indagini assiste un medico legale dell'ente, su richiesta, del consulente nominato dal giudice, il quale provvede ad inviare, entro 15 giorni antecedenti l'inizio delle operazioni peritali, anche in via telematica, apposita comunicazione al direttore della sede provinciale dell'INPS competente o a suo delegato. Alla relazione peritale è allegato, a pena di nullità, il riscontro di ricevuta della predetta comunicazione. L'eccezione di nullità è rilevabile anche d'ufficio dal giudice. Il medico legale dell'ente è autorizzato a partecipare alle operazioni peritali in deroga al comma primo dell'articolo 201 del codice di procedura civile. Al predetto componente competono le facoltà indicate nel secondo comma dell'articolo 194 del codice di procedura civile. Nell'ipotesi di sentenze di condanna relative a ricorsi depositati a far data dal 1° aprile 2007 a carico del Ministero dell'Economia e delle Finanze o del medesimo in solido con l'INPS, all'onere delle spese legali, di consulenza tecnica o del beneficio assistenziale provvede comunque l'INPS."
Consulente tecnico
II. Nei casi di particolare complessità il termine di cui all'articolo 424 può essere prorogato fino a sessanta giorni.
Assistenza del consulente tecnico
II. Il consulente può essere autorizzato a riferire verbalmente ed in tal caso le sue dichiarazioni sono integralmente raccolte a verbale, salvo quanto previsto dal precedente articolo 422.
III. Se il consulente chiede di presentare relazione scritta, il giudice fissa un termine non superiore a venti giorni, non prorogabile, rinviando la trattazione ad altra udienza.