Corte di Cassazione, Sezione VI, Ordinanza 27 novembre 2014, n. 25253
Tabella indicativa delle percentuali d'invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti approvata con D.M. 5.2.1992 - pluralità di minorazioni - computo del danno globale - inammissibilità del computo tramite addizione delle percentuali di invalidità risultanti dalla tabella - ammissibilità di computo considerando la tabella come mero parametro di base, effettuando la valutazione tenendo conto dell'incidenza del danno globale sulla validità complessiva del soggetto. (Sintesi non ufficiale)
Con riferimento al presupposto medico - legale ai fini del riconoscimento delle prestazioni assistenziali agli invalidi civili, la tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e le malattie invalidanti, approvata con D.M. 5 febbraio 1992, in attuazione dell'art. 2 D.Lgs. 509/1988, n. 509, integra il decreto stesso ed è vincolante, con la conseguenza che la valutazione del giudice che prescinda del tutto dall'esame di tale tabella comporta un vizio di legittimità denunciabile con ricorso per cassazione.
Nell'ipotesi di pluralità di minorazioni, il danno globale non si computa addizionando le percentuali di invalidità risultanti dalla tabella approvata con il citato D.M., ma la tabella deve essere presa in considerazione come mero parametro di base, e la valutazione deve essere effettuata tenendo conto dell'incidenza del danno globale sulla validità complessiva del soggetto, né la previsione nella stessa disposizione della tecnica valutativa "scalare" per i danni coesistenti deroga al suddetto principio generale. (Massima non ufficiale)
Civile Ord. Sez. 6 Num. 25253 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA
Data pubblicazione: 27/11/2014
ORDINANZA
sul ricorso 2430-2012 proposto da: S*** A***, elettivamente dorniciliata in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avv. OLINDO DI FRANCESCO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (80078750587), in persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'AVVOCATURA CENTRALE DELL'ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI, giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrente -
nonchè contro
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE (80415740580);
-intimato -
avverso la sentenza n. 12/2011 della CORTE D'APPELLO di PALERMO del 13/1/2011, depositata il 14/2/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito per il controricorrente l'Avvocato CLEMENTINA PULLI che si riporta agli scritti.
1 - Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
{Con sentenza n. 12/2011 depositata in data 14 febbraio 2011, la Corte di appello di Palermo rigettava il gravame proposto da S*** A*** nei confronti dell'I.N.P.S. e del Ministero dell'Economia e delle Finanze, inteso ad ottenere la corresponsione dell'assegno di invalidità civile. Riteneva la Corte territoriale, sulla base delle risultanze della disposta consulenza tecnica d'ufficio, che non sussistesse un'invalidità qualificata, rilevante per l'erogazione della richiesta prestazione.
Avverso detta sentenza la soccombente ricorre con due motivi.
L'I.N.P.S. resiste con controricorso.
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze è rimasto solo intimato.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della legge n. 118 del 1971, art. 13, del d.lgs. n. 509 del 1988, artt. 1, 2, 3, 4 e 5; del D.M. 5 febbraio 1992 e della tabella indicativa delle percentuali di invalidità di cui al D.M. 5 febbraio 1992; motivazione insufficiente e di stile in relazione all'asserito acritico recepimento da parte della Corte territoriale delle conclusioni del c.t.u. che non aveva tenuto conto dei parametri della tabella ministeriale e dei barèmes di raffronto limitandosi ad un mero conteggio complessivo.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 149 disp. att. cod. proc. civ. nonché omessa o quantomeno insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione alla mancata valutazione della documentazione prodotta in corso di causa ed alla violazione dei criteri concernenti il concorso di plurime patologie invalidanti così come previsto dalle tabelle ministeriali e dalla elaborazione in sede giurisprudenziale.
Il ricorso è manifestamente infondato.
La ricorrente ha mosso critiche del tutto generiche al giudizio medico-legale contenuto nell'impugnata decisione, che si è richiamata, come già detto, alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, limitandosi ad opporre un diverso apprezzamento in ordine all'incidenza delle patologie accertate ed alla percentuale di invalidità.
Va, in proposito, rammentato che il rigetto della domanda intesa ad ottenere il trattamento assistenziale richiesto, perché le infermità riscontrate a carico dell'istante non sono risultate tali da raggiungere la soglia invalidante imposta dal legislatore, è incensurabile in sede di legittimità trattandosi di valutazione di merito, come più volte ribadito da questa Corte che, richiamando l'univoco orientamento elaborato in materia, ha affermato, quanto alla determinazione della misura e della natura dello stato invalidante, che costituisce tipico accertamento di fatto la valutazione espressa dal giudice del merito in ordine alla. obiettiva esistenza delle infermità, alla loro natura ed entità, nonché alla incidenza delle stesse sulla capacità di utilizzazione delle energie lavorative. Ora, è pur vero che quando il giudice del merito si basi sulle conclusioni dell'ausiliario, gli eventuali errori e lacune della consulenza si riverberano sulla sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione; ma perché ciò possa verificarsi è necessario che si tratti di carenze o deficienze diagnostiche, o di affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già - come nel caso di specie - di semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l'entità e l'incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte (cfr. ex multis Cass. 11 gennaio 2000, n. 225; id. 9 marzo 2001, n. 3519; 1 agosto 2002, n. 11467; 12 dicembre 2003, n. 19005; 23 agosto 2003, 12408; 12 gennaio 2011, n. 569; 3 febbraio 2012, n. 1652).
In tale corretta prospettiva, le censure mosse all'impugnata sentenza non possono essere accolte atteso che le stesse, se pur formalmente dirette ad evidenziare l'esistenza di carenze diagnostiche ovvero di affermazioni illogiche, propongono una diversa lettura dell'incidenza delle patologie riscontrate e si traducono, così, in una diversa valutazione del quadro patologico sottoposto all'esame del giudice configurando, dunque, un mero dissenso diagnostico, irrilevante in sede di legittimità.
Non sono condivisibili, poi, le doglianza circa il mancato esame delle tabelle ministeriali indicative delle percentuali di invalidità per minorazioni e malattie invalidanti, in quanto il giudice di appello ha dato espressamente atto che il perito aveva escluso una riduzione della capacità lavorativa della S*** in misura tale da consentire il riconoscimento della prestazione "dopo aver preso in esame puntualmente i rilievi di ordine tecnico mossi con l'atto di appello", rilievi che, come si rileva dallo stesso ricorso per cassazione, erano stati proprio incentrati sull'omessa valutazione ed applicazione, da parte dell'ausiliare di primo grado, delle tabelle ministeriali di invalidità civile.
Del resto, se è vero che con riferimento al presupposto medico - legale ai fini del riconoscimento delle prestazioni assistenziali agli invalidi civili, la tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e le malattie invalidanti, approvata con D.M. 5 febbraio 1992, in attuazione del d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, art. 2, <<integra il decreto stesso ed è vincolante, con la conseguenza che la valutazione del giudice che prescinda del tutto dall'esame di tale tabella comporta un vizio di legittimità denunciabile con ricorso per cassazione>> (v. Cass. 13 aprile 2001, n. 5571; id. 18 settembre 2002, n. 13685; 22 giugno 2002, n. 9146; 25 settembre 2002, n. 13938; 6 marzo 2003, n. 3361; 5 aprile 2004, n. 6652; 20 marzo 2006, n. 6128), questa Corte ha altresì chiarito che <<nell'ipotesi di pluralità di minorazioni, il danno globale non si computa addizionando le percentuali di invalidità risultanti dalla tabella>> approvata con il citato D.M., <<ma la tabella deve essere presa in considerazione come mero parametro di base, e la valutazione deve essere effettuata tenendo conto dell'incidenza del danno globale sulla validità complessiva del soggetto>> (v. Cass. 5 aprile 2004, n. 6652), ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1988, art. 4, <<né - come pure è stato precisato - la previsione nella stessa disposizione della tecnica valutativa "scalare" per i danni coesistenti deroga al suddetto principio generale>> (v. Cass. 12 aprile 2005, n. 7465).
Se, dunque, il grado di invalidità complessiva non può derivare da una semplice sommatoria dei valori assegnati ai singoli aspetti invalidanti, ma da una valutazione complessiva dell'incidenza di ciascuna patologia sulla capacità lavorativa del soggetto, va osservato che non sussistono elementi (diversi da una mera divergenza di apprezzamento) per ritenere che tale valutazione complessiva non sia stata svolta dal consulente tecnico di ufficio in modo approfondito ed appropriato.
Quanto, poi, alla pretesa omessa ovvero insufficiente valutazione della documentazione sanitaria prodotta dall'appellante ed in relazione alla quale la ricorrente pretenderebbe di far derivare un aggravamento successivo, la Corte territoriale, con motivazione congrua, ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto la stessa ininfluente ai fini del riconoscimento di una maggiore percentuale invalidante rispetto a quella riconosciuta. Né, invero, la ricorrente offre argomentazioni idonee a contrastare la suddetta valutazione limitandosi solo ad allegare, in uno con l'atto di ricorso, copia di alcune certificazioni mediche senza enucleare e dedurre le circostanze fattuali che avrebbero integrato quella palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica (la cui fonte va indicata) che solo consente di ritenere integrato un vizio motivazionale.
Infine del tutto irrilevante è l'asserita mancata attribuzione del punteggio aggiuntivo massimo di cinque punti previsto dalle tabelle per l'incidenza sulla capacità specifica di lavoro, in quanto, considerata l'accertata riduzione nella misura del 67%, al più si sarebbe ottenuta una invalidità globale inferiore al 72% e quindi insufficiente per il riconoscimento dell'assegno di assistenza.
Per quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell'art. 375, n. 5, cod. proc. civ.} .
2 - Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore (in ordine alle quali la memoria depositata da parte ricorrente non apporta alcuno spunto di revisione critica) siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia.
Va ulteriormente evidenziato che neppure riescono sufficientemente apprezzabili i rilievi relativi alla prospettata mancata e/o non corretta indicazione da parte del consulente officiato in grado di appello dei barèmes di raffronto non essendo stato l'elaborato peritale allegato al ricorso per cassazione e risultando dello stesso trascritte testualmente solo alcune parti (così quelle relative alla diagnosi ed alle conclusioni). In ogni caso i rilievi restano inconsistenti sol che si consideri che, se è vero che con riguardo ad un certo numero di menomazioni più comuni (ordinate per apparati ed identificate con l'assegnazione di un codice) le tabelle di cui al D.M. 5 febbraio 1992 attribuiscono una misura percentuale (variabile entro certi limiti ovvero fissa), resta comunque riservata alle competenze tecniche del consulente la riconducibilità di uno stato patologico ad una determinata categoria così come la determinazione della percentuale tra il minimo ed il massimo eventualmente previsto. Così, ad esempio, e con riferimento a quanto evidenziato dalla ricorrente, se agli esiti di una "isterectomia totale in età fertile" è attribuita una valutazione fissa del 25%, la collocazione di una isterectomia "in età fertile" esula dall'automatismo della tabella involgendo un giudizio medico-legale; ed ancora, sempre con riferimento ad altra puntualizzazione della ricorrente, stabilire se un'anomalia dell'apparato osteoarticolare si sostanzi in una "anchilosi del rachide lombare", con valutazione tabellare variabile da un minimo del 31% ad un massimo del 40%, ovvero in un più grave deficit funzionale, involge un apprezzamento tecnico ulteriore e diverso rispetto alla applicazione dei barèmes secondo il preteso automatismo.
3 - Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell'art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo.
4- Conseguentemente, il ricorso va rigettato.
5 - Infine nulla va disposto con riguardo alle spese processuali del presente giudizio di legittimità avendo la Corte territoriale dato atto della sussistenza dei requisiti reddituali perché la soccombente goda dell'esenzione di legge.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2014.